Come molti di voi avranno notato il mondo dell'apnea negli ultimi decenni è cresciuto in modo esponenziale. Si organizzano ormai molti eventi e gare in giro per il mondo e finalmente si inizia a parlare di questo sport anche nelle televisioni nazionali, grazie soprattutto agli ottimi successi ottenuti dai nostri atleti durante gli eventi mondiali; come sempre quando il mercato cresce si iniziano a vedere investimenti da parte delle aziende e, in generale, inizia uno sviluppo tecnico e industriale rivolto al miglioramento dell’equipaggiamento e di tutti quegli accessori che ci aiutano nella pratica del nostro sport. In questo articolo parliamo del laynard
Marco Nones
Quante volte a bordo vasca, in barca o più semplicemente al bar con amici apneisti abbiamo sentito tessere le lodi di questa o quella muta? Quante volte ci siamo battuti a favore di quella pinna o di quella monopinna? Sarà sicuramente successo molte volte a tutti voi... lo so!
Certo è che ridurre il nostro sport a quale pinna o quale muta sia migliore per aumentare le nostre performances senza addentrarsi in altri tanti piccoli dettagli mi pare davvero troppo superficiale, sarebbe come ridurre la Formula 1 a quanti cavalli si hanno e a quali gomme si usano senza dare invece importanza a mille altri dettagli, come l'aerodinamica o le abilità di guida del pilota...troppo facile, non funziona così.
Nel mio lavoro sento dire spesso (forse troppo spesso!) da apneisti di medio livello quanto vorrebbero usare attrezzature particolari o molto avanzate per ottenere risultati migliori. Ovviamente, quando poi provano quelle miracolose attrezzature ne rimango spesso delusi e non migliorano per niente le loro performances...anzi, al contrario, spesso iniziano i problemi!
Come in moltissime altre attività anche nel nostro sport le performances sono costruite da molti dettagli, tra cui: abilità personali (tecnica, dedizione, formazione, allenamento, eccetera), attrezzature primarie (mute, maschere, pinne, monopinne) e attrezzature secondarie (linyards, occhialini, tappanaso e computer). Spesso però, a mio avviso, ci si dimentica come in un insieme complesso, composto da molti dettagli, sia importante che tutti i fattori si amalgamino coerentemente creando "un sistema" vincente. Mi spiego meglio: se possedete le migliori pinne sul mercato, ma non sapete pinneggiare bene non avrete i risultati avanzati che speravate; allo stesso modo, se avete buone capacità compensatorie, però vi immergete con una maschera gigante sarete sempre limitati nelle vostre prestazioni.
Premesso che non è l'attrezzatura a fare il buon apneista e cosciente del fatto che vi sarà facilissimo trovare informazioni su come utilizzare al meglio l'ultimo modello di pinne o su come scegliere la migliore muta sul mercato, vorrei invece soffermarmi sul corretto uso di alcune attrezzature secondarie, spesso snobbate dai cosiddetti divulgatori e che invece secondo me possono rappresentare un "plus" soprattutto per gli apneisti avanzati: il lanyard, gli occhialini, il tappanaso e il computer. Iniziamo dal lanyard
E’ il cavetto di vincolo fra l'apneista e il cavo guida. Sempre obbligatorio durante le gare di profondità, viene fortemente consigliato nell'apnea ricreativa (non agonistica), soprattutto quando ci si appresta a compiere tuffi a quote non facilmente accessibili dagli assistenti di sicurezza o, più semplicemente, dai vostri compagni di allenamento. Naturalmente, anche in presenza di scarsa visibilità viene consigliato per diminuire certi rischi intrinsechi nel nostro sport... safety first!
Esistono molti modelli diversi sul mercato e pertanto non mi addentrerò nel descriverli singolarmente, ma vorrei invece sottolineare le caratteristiche generali che un buon lanyard dovrebbe avere per compiere bene il suo lavoro.
I lanyards sono principalmente composti da tre elementi distintivi: il bracciale, il cavetto e un moschettone... analizziamoli ora nello specifico.
- Un buon bracciale dovrà essere abbastanza largo da offrire una buona superficie di contatto con la muta (o con il polso) per evitare di "segare" il neoprene (o la pelle); la circonferenza dovrà essere della giusta misura, nè troppo lasco, per evitare che si sfili dal polso, nè troppo stretto, per evitare che disturbi la circolazione sanguigna; potrà avere la chiusura a velcro o con altri sistemi, ma dovrà necessariamente avere la possibilità di essere rimosso velocemente, in modo volontario, grazie a un moschettone a sgancio rapido o altri sistemi di sicurezza.
- Il cavetto dovrà avere una lunghezza di circa un metro (nell'agonismo la lunghezza è regolamentata); per esperienza diretta non consiglio di variare troppo da questa misura per evitare fastidi durante i tuffi. Infatti, se troppo corto non ci darebbe modo di allontanarci adeguatamente dal cavo, mentre se troppo lungo finirebbe spesso per intralciarci in certi movimenti. La presenza di girelle rotanti all'inizio o alla fine (o in entrambi i lati) è davvero importante per permettere la naturale rotazione del cavetto evitando l'effetto di avvitamento dello stesso intorno al cavo guida o al nostro braccio. Generalmente, il materiale più utilizzato è l'acciaio inox (anticorrosione), spesso foderato di materiale plastico o gommoso per aumentarne l'isolamento dall'acqua, mentre gli spessori possono variare di molto fra i vari modelli. Personalmente ritengo che i più sottili offrano meno resistenza all'avanzamento (minor attrito in acqua), ma dovranno essere abbastanza rigidi da scongiurare nodi o formazione di cappi che potrebbero impigliarsi su di noi o su altre parti della nostra attrezzatura.
- Il moschettone di collegamento al cavo guida potrà essere di varie dimensioni e materiali. Ritengo che i moschettoni in alluminio siano migliori rispetto a quelli in acciaio a causa del minor peso. Infatti, soprattutto durante i tuffi profondi, non vogliamo portarci dietro pesi aggiuntivi che vanno poi riportati in superficie! Esistono anche moschettoni in tecnopolimero (materiali molto resistenti derivati dalla plastica) quindi, non essendo metallici, hanno generalmente un peso ancora inferiore rispetto a quelli di alluminio e possono rappresentare un’ottima alternativa. Naturalmente la dimensione (e l'apertura!) del moschettone dovrà essere sufficiente da permettere l'aggancio attorno al nostro cavo di discesa (un'apertura di almeno 12mm è generalmente sufficiente).
Posizionamento e utilizzo pratico: sistemare il bracciale nel modo corretto è davvero importante per ridurre al minimo il disturbo che inevitabilmente ci crea il suo utilizzo, a seconda della disciplina che stiamo praticandoo il suo posizionamento potrebbe cambiare di molto. Vediamo come.
Nell'assetto costante si posiziona generalmente sul polso (consigliato sul braccio "forte", il sinistro per i mancini) anche se in ambiente ricreativo (non agonistico) si potrebbe decidere di collegarlo in vita attraverso una "cintura" non elastica appositamente dedicata per liberare le braccia da impicci.
In free-immersion la posizione consigliata è nuovamente quella al polso ma, come per l'assetto costante, si potrebbe decidere di posizionarlo in vita tramite il solito sistema con cintura (posizione concessa solo in ambito ricreativo, non agonistico); esiste anche una terza posizione possibile, sulla caviglia, che però sconsiglio caldamente in quanto, a causa della sua lunghezza, ci ostacolerebbe nei movimenti durante la preparazione in superficie e durante la girata sul piattello; se poi consideriamo che nel caso di sgancio del contrappeso l'apneista verrebbe riportato in superficie appeso per la caviglia (quindi a testa in giù): capiamo subito la poca sicurezza e praticità di questa soluzione.
Nell'assetto costante senza pinne (rana subacquea), invece, non abbiamo che una sola opzione, ovvero utilizzare la cintura dedicata non elastica; infatti, a causa dell'utilizzo di tutti gli arti per lo spostamento, non possiamo posizionare il bracciale nè sui polsi nè sulle caviglie perchè impedirebbe il corretto movimento propulsivo.
in ogni caso consiglio sempre ai miei allievi di abituarsi gradualmente al suo utilizzo effettuando alcune sessioni di allenamento a profondità modeste, ma con tante ripetizioni di tuffo. Durante quegli allenamenti voglio che si abituino alla sua presenza, al suo “maneggio” durante le fasi preparatorie fuori e dentro l'acqua e, soprattutto, che prendano dimestichezza con le tecniche base (capovolta, pinneggiata, girata sul piattello), eventualmente adattandole all'utilizzo con questo nuovo strumento per sentirsi pienamente a loro agio prima di avventurarsi in tuffi più impegnativi.