Quello tra Baia del Silenzio e Punta Manara è uno dei tratti di costa più vari e interessanti della Liguria, un posto dove Niccolò Coluccelli, forte atleta del Team Cressi, è di casa. I saraghi e le corvine della Ciappa del Lupo e i pezzi “da novanta” di Punta Manara
Gherardo Zei
Siamo in Liguria, a Sestri Levante e Nicolò Coluccelli, atleta del team Cressi Sub, ci racconta la zona di mare dove è nato e cresciuto e dove tutt’ora si immerge con regolarità.
Sestri Levante si affaccia su due versanti, tra la Baia delle Favole e la magnifica Baia del Silenzio, la quale, oltre a essere una meta caratteristica della Riviera, ha visto soggiornare diversi artisti, come lo scrittore Hans Christian Andersen, il compositore Richard Wagner e lo scienziato Guglielmo Marconi. Già meta dei Grand Tour degli intellettuali dell’Ottocento, nel 2019 la Baia del Silenzio ha conquistato il quinto posto nel premio di TripAdvisor per le spiagge più belle. Insomma, un posto perfetto con acqua spesso limpida e sabbia fine, il tutto nella cornice della natura verdeggiante della Liguria.
Il tratto di costa tra la Baia del Silenzio e Punta Manara l’ho frequentato fin da bambino - ci racconta Coluccelli -. Sono infatti cresciuto qui in estate con la famiglia, passando la maggior parte del tempo a cercare di catturare con la fiocina a mano qualche polpo, qualche seppia o qualche pesciolino. Poi con il primo fuciletto mi sono spostato sulle dighe e lì mi sono fatto le ossa. Ogni volta che ci andavo i miei genitori mi tenevano sott’occhio intanto che razzolavo tra i saraghi e i cefali che si nascondevano tra le rocce dei frangiflutti. Mentre in alcune zone più buie e cavernose riuscivo a scovare perfino delle corvine.
«Non potrò mai dimenticare il ricordo del più bel pesce che ho preso da neofita, una delle prime volte che sono andato sulle dighe. Avevo il fuciletto piccolo con elastici morbidissimi e per niente performanti. Improvvisamente, mi è arrivato addosso in superficie questo branco di cefaloni che nuotavano veloci appena sotto il pelo dell’acqua. Erano tutti gaggia d’oro e nel vederli ho provato un’emozione indescrivibile. Ma qualcosa è scattato dentro di me, ho sparato d’imbracciata e non so nemmeno come ho fatto a infilare uno dei più grossi. Per me è stato come catturare chissà cosa. Non lo potrò mai dimenticare».
Baia del Silenzio
Anzitutto va detto che la Baia del Silenzio è facilmente raggiungibile anche in macchina; si parcheggia lungo la passeggiata a mare, poi si attraversa la strada e ci si trova subito in spiaggia. Dal primo maggio al trenta settembre è vietata la pesca nella parte interna e si può andare solo fuori dalle dighe. In inverno, invece, la pesca anche a terra è consentita, ma dentro le dighe, nella brutta stagione, non c’è nulla. Sembra infatti incredibile quanti grossi pesci si nascondono in mezzo ai bagnanti d’estate, e all’ora di pranzo, del periodo balneare, dentro le dighe è uno spettacolo. Purtroppo, però, non si può immergere.
I frangiflutti sono stati rifatti quest’anno e le dighe sono state rese più spesse. Tra i grossi massi ci sono tane di cefali, saraghi e anche corvine, da insidiare con un’arma corta. Allontanandosi verso il largo e proseguendo in direzione di Punta Manara, il fondale si trasforma da franata di sassi e alghe a sabbia. Allargandosi ancora incontriamo le cosiddette Secche della Nera, dove il fondale dai 15 metri risale fino ai 7 metri ed è composto di lastroni di roccia e posidonia. «Qui si incontrano saraghi, corvine, qualche mostella e anche qualche cernia - ci spiega Coluccelli -. Si pesca prevalentemente in tana sotto i lastroni ma, nelle ore giuste, si può provare l’aspetto sulle prede di passaggio, come alletterati, qualche leccia e qualche denticiotto».
Lo scoglio Campana
«Proseguendo sempre verso Punta Manara, in parallelo alla costa, si raggiunge un piccolo golfo dove ci sono alcuni grossi massoni chiari caratterizzati da un enorme scoglio a terra a forma di campana - spiega sempre l’atleta -. Questo spot prende il nome di “Scoglio Campana” proprio da questa roccia e si tratta di una zona di sassi dove d’inverno ci sono le spigole e d’estate i saraghi».
La zona del Forni
Continuando a nuotare verso la Punta Manara si arriva a una franata di sassi che cade da zero fino a quindici metri. Conviene stare sulla fascia tra i cinque e gli otto metri e, al limite dove la roccia cade sulla posidonia, ci sono tane di franata con massi spaccati che affondano nella sabbia e nella posidonia. «E’ un posto da corvine - dice Coluccelli -. Pesci a volte di taglia interessante, certamente scaltri, però con un’azione ben condotta si riesce a portarli a tiro».
Ciappa del Lupo
«Passati i Forni si arriva allo scoglio che noi chiamiamo Ciappa del Lupo, che altro non è se non un grosso lastrone che finisce in mare. E’ fra le mie zone preferite. Ci si trova al cospetto di una massicciata di sassi che finisce per cadere su grandi chiazze di posidonia. Fin dalla batimetrica dei quattro metri ci sono sassi sparsi e poi, sui dieci metri, i massi più grossi fanno tana a. Infine, continuando a scendere il fondale termina sui sedici metri nella posidonia alternata al grotto basso. In questo grotto basso qualche bel sarago si vede e qualche corvina spunta di tanto in tanto».
Scoglio Carega
Sempre continuando verso la punta, si raggiunge lo Scoglio Carega, una roccia con la forma che richiama quella di una seggiola. La batimetrica nelle immediate vicinanze arriva sui quindici metri. Con acqua limpida è una zona buona per i dentici, specialmente al calasole e all’alba. In pratica il fondale ha le caratteristiche di una franata che termina con diversi massoni dietri i quali conviene appostarsi con un’arma lunga e aspettare i dentici che provengono dal pianoro antistante, caratterizzato da una spianata di sabbia.
«In questa zona - racconta Coluccelli - l’estate scorsa ho strappato un grosso alletterato a cui avevo sparato con un 90 monoelastico. Quel giorno avevo cercato le ricciole e le anche avevo viste a Punta Manara, ma non si erano avvicinate. Quindi, in tarda mattinata avevo cambiato fucile lasciando il lungo molto potente per cercare il pesce bianco con il 90. Al primo tuffo sono arrivati una ventina di alletterati enormi. Ho fatto la capovolta e sui sette, otto metri mi hanno accerchiato velocissimi. Ho sparato al più grosso, purtroppo in coda perché, come ripeto, erano dei missili. E’ partito come un treno e ha portato via tutta la sagola dal mulinello, cinquanta metri, in un attimo e ha rotto il nodo con cui l’avevo vincolata al mulinello. Avevo aperto completamente la frizione proprio perché pensavo che il pesce fosse preso non benissimo e speravo, avendo rilasciato più sagola possibile, di poterlo ammortizzare se avesse cominciato a girare intorno. Ma purtroppo è andato dritto come un siluro e ha rotto tutto. Nei giorni successivi tutti li hanno cercati, ma erano spariti. A marzo abbiamo cercato i branzini, che da noi sono rari, e ne ho preso uno, vincendo una scommessa con un amico».
Punta Manara
A un miglio a nuoto dalla Baia del Silenzio si arriva finalmente a Punta Manara. Un posto bellissimo, forse il più bello della zona e può regalare qualsiasi pesce a ogni profondità. A terra ci sono massi enormi, con caverne dove sono state prese corvine spaventose in cinque metri d’acqua. E sulla punta si può scendere fino a trenta metri, dove vivono le cernie di taglia. Essendo sulla punta della penisola, qui incrociano i grossi pelagici e, in particolare a giugno, si possono incontrare ricciole e lecce. Mentre in tutti i mesi estivi c’è una popolazione di dentici stanziali. Sono davvero difficili da portare a tiro, però si vedono spesso. Come tecniche non c’è che l’imbarazzo della scelta: tana, aspetto e razzolo. Qui si può cercare il pesce bianco, soprattutto saraghi, ma si possono insidiare tutte le altre specie, come capponi o anche i polpi nei mesi giusti.
«Unica cosa negativa è che Punta Manara è una zona davvero pericolosa a causa del traffico nautico – puntualizza l’atleta -. Essendo sulla punta della penisola le barche purtroppo ci passano rasenti, quindi sono essenziali la pesca in coppia e il pallone ben visibile; consiglio di rimanere sempre sulla verticale della boa».
Il mio primo dentice
«Qui ho incontrato e preso il mio primo dentice - racconta Coluccelli - un pesce di un paio di chili, catturato con il mio fedele 90 monoelastico. Non avevo certo l’arma giusta e ho dovuto quindi farlo avvicinare tanto. Ricciole grandi qui non ne ho mai prese, ma sapendole cercare ci sono. Il motivo è che fino a oggi ho sempre fatto un tipo di pesca con fucili corti e in tana, cercando corvine, saraghi, mostelle e capponi. Ma per quest’anno l’obiettivo che mi sono dato è proprio quello di migliorarmi nell’aspetto; voglio sparare a un bestione anche se è una pesca che un po’ mi annoia. Inoltre, nelle gare il razzolo resta sempre la tecnica più efficace.
«L’altra cosa terribile da noi è la pesca industriale – spiega- . Quando si sa che entra il primo branco di ricciole, poco dopo viene prelevato interamente. L’estate scorsa con amici abbiamo incontrato questo branco grosso di ricciole, che però non siamo riusciti ad avvicinare. Peccato che non c’è stato il tempo di ritrovarlo perché l’indomani c’era in quel punto un cianciolo che le ha prese tutte!».
Quegli strani episodi…
«Quando ero un ragazzino mi è capitato un aneddoto simpatico nella zona dei Forni. Era una delle prime volte che andavo in mare con un pescatore del club Sub Sestri Levante. Avevo visto, in circa sei metri d’acqua, una corvina di quasi due chili morta forse il giorno prima; aveva ancora un po’ di colori e mi venne un’idea. La raccolsi, le sparai per farle il buco e andai a farla vedere a questo signore che nuotava poco più avanti di me. Ero convintissimo che mai se ne sarebbe accorto ed ero sicuro di giocargli uno scherzo. Ma in realtà immediatamente mi disse di buttare via quel pesce perchè si vedeva che non era fresco. Lo disse ovviamente ridendo.
«Poi una volta all’alba, fuori dalle dighe frangiflutti, in otto metri d’acqua, ho visto un denticione fermo sulla posidonia. Era un pesce da sette, otto chili e mi vedevo già la scena della cattura. Avevo il 110 ad aria e potevo farcela. Ma come ho iniziato la planata è partito come un missile e mi ha lasciato con un palmo di naso. Peccato».