Nome, Davide, cognome, Mazzarri. Rapporto di parentela: è il nipote del grande Renzo. Con queste premesse non poteva che scalare le classiche e affacciarsi ai vertici dell’agonismo. Facciamo la conoscenza di questo ragazzo che ha un debole per i dentici e che ama la fotografia e le piante
Emiliano Brasini
Siamo stati all’Elba a incontrare un vero e proprio figlio d’arte: Davide Mazzarri, nipote del grande Renzo, dal quale sembra proprio che qualcosa abbia preso visto i buoni risultati che sta ottenendo.
Allora, come ci si sente a chiamarsi Mazzarri? Lo zio ti ha dato qualche consiglio su come affrontare le gare?
«Chiamarsi Mazzarri per me è sempre stato e sempre sarà un privilegio e un onore. Forse qualcuno penserà che avere questo cognome sia un peso, ma in realtà mi sono sempre sentito fortunato. Nella pesca mio zio è stato quello che è stato, mio padre è quello che è e io sarò quello che sarò. Non posso di certo essere come loro o eguagliare le loro prestazioni, ma cercheró di fare di tutto per tenere alto il nome della mia famiglia. Ho sempre apprezzato la vicinanza e le gentilezza delle persone, che anche non conoscendomi hanno avuto buoni pensieri o belle parole per me solo per il cognome che porto. Mi sono spesso sentito chiamare “campioncino” e forse mai lo sarò, ma perchè deludere le persone che credono in me? Ce la metterò sempre tutta e se anche non lo diventerò sarò comunque fiero di averci provato. E’ molto facile farsi notare nel mondo della pesca con questo cognome, non altrettanto portarlo al livello che è stato in passato, ma se ci riesco proveró anch’io a mettere la firma nella storia di questo sport. Tante persone mi conoscono solo perchè mi chiamo Mazzarri, e io purtroppo non so neanche chi sono, ma mi piacerebbe dare una sensazione positiva di quello che sono, sia se dovessi vincere sia che dovessi perdere. Per ora cerco di divertirmi il più possibile, ma da qualche anno a questa parte pian piano sta crescendo sempre di più la “cattiveria agonistica” che ha sempre contraddistinto mio zio; vedremo se veramente la stoffa è la stessa. La maggior parte dei consigli che ho ricevuto da Renzo hanno riguardato la sicurezza o, al massimo, ho avuto qualche consiglio su come approcciarsi ad alcuni tipi di pesce, frutto dell’esperienza acquisita negli anni. Però ha sempre lasciato che prendessi la mia strada, che facessi le mie esperienze e imparassi dai miei errori. Tecnicamente e, soprattutto, caratterialmente siamo diversi e in questi casi alcuni consigli (basati sulle proprie esperienze) sarebbero stati poco efficaci. Certe volte ho imparato più guardandolo in azione, o persino dai racconti delle gare, che dalle parole dette direttamente. L’esperienza sul campo è sempre quella che più dà frutti».
Raccontaci qualcosa di te. Quando hai iniziato a pescare? Quando con le gare?
«Posso quasi dire di aver iniziato prima a nuotare che a camminare. Fino all’età di un anno non gattonavo neanche, poi all’improvviso iniziai a correre tra un mobile e l’altro della casa e da lì non mi sono più fermato; ma dai racconti di mia madre, si capiva già che preferivo stare in acqua a fare il bagno che muovermi a piedi A 3 anni le prime prove in piscina e a 6 i primi corsi veri e propri di nuoto, fino ad arrivare ai primi bagni in mare. E dopo la prima volta che misi la maschera sotto la superficie, nessuno mi potè più fermare. Passavo ore e ore a nuotare e curiosare tra le pietre, a dare noia ai pesciolini e a capire come funzionava quello strano mondo, che sentivo sempre più affine al mio corpo. Non potevo capirlo, ma il destino già sapeva che il sale addosso era oramai parte di me.
«All’età di 12 anni mi fu regalata la prima fiocinetta a mano e per 4 estati consecutive qualsiasi polpo, triglia o verdone che passava nel mio raggio, finiva a tavola. A 16 anni arrivò il primo fucile per fare esperienza e grazie ai racconti di mio padre e di mio zio, e grazie anche all’idea che mi ero fatto sul comportamento dei pesci che vedevo, le prede erano sempre più facili da catturare e anche le dimensioni aumentavano. Lì capii che il cognome Mazzarri non era solo un eufemismo: nel mio sangue circolava veramente quello di un pescatore. Ad aprile del 2017, finalmente, appena compiuti i 18 anni, disputai la mia prima selettiva nelle acque di Cecina. Ricordo che quel giorno ero tesissimo, e forse mio padre più di me, ma mentre lui lo era per la preoccupazione, io lo ero per la paura di fare brutta figura. Speravo di non fare cappotto alla prima gara ufficiale della mia vita, e fortunatamente riuscii a prendere due pesci validi. Arrivai solamente 16esimo, però ero felice come un bambino; ancora oggi mi ricordo benissimo, ogni particolare della gara. Sapevo di non aver fatto una brutta figura e che da lì in poi sarebbe iniziata la mia “piccola” carriera agonistica».
La tua preda preferita?
«Se me lo aveste chiesto qualche anno fa, vi avrei detto la corvina, un pesce per me di un’eleganza unica. Mi è sempre piaciuta per diversi motivi e, in particolare, per il modo in cui devo approcciarmi per catturarla sia in tana che all’agguato o all’aspetto. Oggi invece la mia preda preferita è il dentice. Forse il pesce che più dà “del filo da torcere” a tutti noi; sfuggente e smaliziato come nessun altro. Da quando le mie apnee sono diventate più importanti e, di conseguenza, le mie possibilità di cattura di questo magnifico predatore sono aumentate, lui ha prevalso su tutti. Quando la mangianza si apre e dal blu sbuca il testone che ti punta senza alcun timore…, quello è il momento più elettrizzante di tutta la giornata».
Aspetto, agguato oppure tana?
«Come per la domanda precedente, fino a poco tempo fa preferivo la ricerca in tana o, per essere più precisi, il classico razzolo nel basso/medio fondale. Adesso invece mi piace l’aspetto, a quote diverse in base alla stagione, al meteo e al pesce. Mi piace perchè la dimensione del pesce in cui puoi incappare è spesso e volentieri più grande delle prede che puoi catturare in tana o all’agguato. Probabilmente non è la tecnica più difficile, ma la preparazione e l’attuazione richiedono accorgimenti precisi che fanno la differenza tra la cattura e il nulla di fatto».
Un episodio curioso che ti è capitato andando in mare?
«Tra i tanti, uno in particolare mi ha stupito. Mi trovavo su un fondale di 19, 20 metri nascosto tra le rocce all’aspetto, quando vedo scappare la mangianza. Nella mia testa già pensavo: “eccolo che sta arrivando (il dentice). Quindi decido di nascondermi ancora meglio per provare a incuriosirlo. E invece, dal blu, vedo avvicinarsi una sagoma nera che, per un momento, ho scambiato per la testa di una grossa spigola, in realtà si trattava di un cormorano, che con una discreta disinvoltura mi è passato vicino non considerandomi neanche, intento a catturare qualche preda anche lui. Prima di staccarmi dal fondo, noto che il cormorano si era messo a guardare insistentemente sotto un sasso, fino a quando non siamo risaliti praticamente assieme. Una volta in superficie credevo che avrebbe preso la sua strada e invece, imperterrito, è rimasto fermo sulla verticale del sasso in attesa di effettuare un altro tuffo. Da lontano lo guardavo e nel frattempo mi preparavo anch’io scendere. E in quel momento è successa una cosa incredibile. Dopo neanche un minuto il cormorano è tornato giù… a 20 metri, risalendo con la preda. Senza nemmeno degnarmi di uno sguardo, si è girato dalla parte opposta e si è diretto verso l’isolotto, mentre io, a bocca aperta, sono rimasto a guardarlo. Almeno lui quel giorno non ha cappottato».
Hai mai avuto paura sott’acqua?
«L’unica volta è stato durante un’uscita con mio padre quando ero piccolo. Per 10 minuti abbondanti lo persi di vista a causa del mare mosso e in quel momento mi passò veramente di tutto per la testa. Poi, per fortuna, non ho più avuto paura».
Chi sono secondo te i 3 atleti più forti al mondo?
«Difficile rispondere. A mio parere stilare una categoria degli atleti più forti al mondo in assoluto, è praticamente impossibile; lo trovo anche ingiusto perchè le condizioni, le situazioni e la quantità di pesce del passato erano ben diversa da quelle attuali. Per cui non ha senso fare paragoni. Bisognerebbe differenziare questa domanda in due epoche diverse, ovvero tra i pescatori prima degli anni 2000 e i pescatori dopo gli anni 2000. In questo caso risponderei mio zio (Renzo), Pep Amengual e Pedro Carbonel, anche perchè i risultati parlano chiaro. Per i pescatori dopo gli anni Duemila, non saprei sinceramente rispondervi. Ci sono un sacco di atleti fortissimi, che hanno caratteristiche ben diverse e che negli ultimi anni hanno fatto valere il proprio nome, vedi De Mola, Cervantes, Vasiliu, Sideris, Gospic, Lot, Bellani… e potrei continuare».
Cambieresti qualcosa nell’attuale regolamento gare?
«In linea di massima no, forse ragionerei sul periodo in cui vengono disputati i Campionati italiani. Ogni anno farei disputare le gare in un periodo diverso, con magari condizioni differenti, in modo da poter accontentare tutti. Ormai nelle ultime stagioni, con il divieto di avvicinarsi alla costa a cauda del periodo, alcuni atleti (magari giovani come me) che si sono qualificati dalle selettive e che non pescano ancora molto fondo, sono limitati e non possono dare il meglio. Se invece capitasse di affrontare un Assoluto a dicembre o a marzo, con condizioni difficili di mare mosso, acqua fredda o sporca (sempre tenendo conto della sicurezza), chi predilige il basso fondo o quelle particolari condizioni, avrebbe molte più chance di fare bene. Quindi la mia idea sarebbe di alternare ogni anno il periodo in cui disputare il Campionato in modo da poter dare l’opportunità a tutti di mettersi in evidenza. Inoltre, dato che è stata riammessa la cattura della cernia bianca, dorata e del dotto, reintrodurrei anche la cernia bruna, che è possibile trovare a quote più accessibile. Limiterei poi i giorni di preparazione in modo che più o meno tutti abbiamo la possibilità di esplorare la zona in tempi simili e penserei a vietare l’utilizzo del Gps, così da far emergere le doti di un pescatore a prendere le mire a terra, come avveniva in passato»
Hobby oltre alla pesca?
«Mi piace la corsa, la mountain bike e il tennis, ma il mio secondo hobby più grande è la fotografia. Mi sono appassionato circa 7, 8 anni fa e da lì non ho più smesso di amarla. Ho passato notti, ore o lunghi momenti ad aspettare l’attimo giusto per poter riprendere il tramonto, la via lattea o qualche semplice animale. Mi piace anche molto immortalare le persone che hanno da raccontare qualcosa, una storia. Vorrei fotografare i vecchi contadini, i pescatori o i lavoratori di una volta per non perdere la conoscenza di chi eravamo. Con un semplice clic riesco a fermare il tempo e tenerlo per me.
«L’altra mia grande passione, tramandata da mia nonna, è quella per le piante. Mi piace curare, coltivare o far crescere qualsiasi tipo di pianta; mi sono persino creato una piccola serra dove tengo quelle che in inverno non vivrebbero. Ho il mio orto, il frutteto, la zona dedicata agli agrumi e tantissime altre piante di diversi tipi e provenienti da diverse parti del mondo. Come si suol dire, ho il pollice verde».
Il tuo sogno nel cassetto?
«Ne ho tanti. Per lo più mi piacerebbe viaggiare; ho tantissimi posti nel mondo che vorrei visitare o esperienze che mi piacerebbe fare, ma per il momento in cima alla lista dei miei sogni c’è quello di nuotare con le balene, e in particolar modo con lo squalo balena. È un sogno che ho fin dà piccolo e spero di poterlo realizzare. Un altro sogno nel cassetto sarebbe quello di vincere l’unico titolo che manca alla famiglia Mazzarri, ovvero quello di Campione italiano. Certo, a livello fisico e di esperienza non sono ancora pronto, ma magari con un pò di fortuna e tanta grinta potrei riuscirci tra qualche anno».