I nostri due campioni sono arrivati secondi in una gara svoltasi in condizioni difficili nel mare di Rio de Janeiro. Ecco cosa ci hanno raccontato
Gherardo Zei
Sotto l’egida della Cmas, l’Associação Paulista de Pesca Submarina ha organizzato la “II Cmas World Spearfishing Cup for Clubs, che si è svolto dal 7 marzo al 10 marzo in Brasile, Rio de Janeiro, nelle zone delle Isole Tijucas e Maricas. Oltre alle compagini locali, dieci squadre sono arrivate da diverse parti del mondo, tra cui Italia, Croazia, Cipro, Spagna, Ecuador, Perù e Uruguay.
Tra i tanti nomi di rilievo, hanno partecipato alla competizione due ex campioni del mondo: George Vasiliou (Cipro) e Stefano Bellani (Italia), il vice campione del mondo Maurizio Ramacciotti (Italia), l'ex nazionale spagnolo Raul Astorga, vincitore con il suo circolo della prima edizione della Coppa del Mondo per Club tenutasi in Tunisia, e tanti altri campioni.
La competizione è stata vinta del Club Cr Flamengo, con Francisco Loffredi, Kevin Sansao e Raphael Ambrosio, che ha chiuso in prima posizione entrambe le giornate. Il secondo posto è stato conquistato dal team italiano CiCaSub Garibaldi, rappresentato da Bellani e Ramacciotti, che si sono classificati secondi in entrambe le giornate. In realtà, il Team italiano era composto anche da Marco Paggini che, tuttavia, pur essendo arrivato in Brasile, ha poi dovuto rinunciare alla gara e anche a fare da barcaiolo in quanto colpito da una forma febbrile molto intensa. Il terzo posto è andato al team Acps, composto da Thiago Barbi, Jose Carlos Jr, Aristides Tufi e Humberto Pftzer.
Nonostante si siano quindi trovati a dover effettuare la preparazione senza il terzo componente della squadra e a partecipare alla gara soltanto in due (con un barcaiolo locale), che certamente non faceva il tifo per loro, i nostri due campioni non hanno deluso, dimostrando ancora una volta (come già fatto da Mazzarri e Molteni), che le nostre leggende italiane sono capaci di imprese mitiche anche con i capelli bianchi e qualche anno di più sulle spalle.
Li abbiamo voluti intervistare al rientro in Italia.
Ramacciotti
«Nel 2002 abbiamo disputato il Mondiale non molto distante da qui, circa cento chilometri sopra Rio, ma pensavamo che le condizioni in questa zona delle isole fossero di acqua più pulita e calma. Abbiamo invece trovato condizioni estreme, come la prima giornata del Brasile 2002. Siamo partiti il venerdì, sei giorni prima della gara e siamo andati in acqua appena arrivati. Purtroppo Marco stava già male ed è rimasto cinque giorni a letto. Pertanto, il giovedì prima della competizione è tornato in Italia e siamo rimasti io e Stefano, con un barcaiolo messo a disposizione dall’organizzazione; era del circolo organizzatore e credo che questo non sia stato indifferente...».
La preparazione
«Ci aspettavamo acqua più pulita, invece c’erano appena due metri di visibilità. Sabato, domenica e lunedì siamo andati sul campo della prima giornata, che tutti sostenevano sarebbe stato più povero. Il campo era piccolo. Sotto gli 8 metri c’erano 16 gradi, mentre in superficie l’acqua era a 27, 28 gradi, insomma temperature da pazzi. Ovviamente, in una tale condizione abbiamo dovuto pescare sopra il taglio gelido. Il pesce, infatti, stava al libero e al calda. I sargo, prede decisive, nuotavano in acqua bassissima dentro le caverne, nel maremoto. Dunque, abbiamo preparato nuotando attaccati alla parete intorno agli isolotti e abbiamo constatato che c’erano carangidi, barracuda e sargo al libero. Del resto, i pesci validi per la gara erano pochi e avevano pesi minimi importanti. Per questo, si parlava di vincere il Campionato con quindici pesci e alla fine la prima frazione l’hanno vinta con dieci.
«Da mercoledì abbiamo preparato il campo della seconda giornata; in quella zona l’acqua era fredda anche in superficie. Per fortuna, in un posto magico abbiamo trovato alcuni scogli che facevano un canale. Ho visto il pesce, l’ho raccontato a Stefano, ma non abbiamo detto niente, perché avevamo un commissario del club organizzatore a bordo (il nostro barcaiolo). Poi c’è stata una mareggiata e l’ultimo giorno l’acqua era più calda e chiara e allora siamo andati a pescare fuori campo gara per farci l’occhio sul peso dei pesci e sulle specie valide».
La prima giornata
«Siamo partiti vicino a terra, c’era mare forte e non abbiamo trovato niente anche a causa delle visibilità ridotta a due metri. Su un secondo posto, Bellani ha preso il sargo di quattro chili e mezzo tra la risacca, in mezzo agli scogli. Abbiamo poi catturato due carangidi e un pesce gallo che pensavo fosse fuori peso e invece era di ben settecento grammi. Nuotava in un branco dove ho faticato a prenderne uno. Alla fine ho catturato una ricciola e a metà gara avevamo i nostri pesci. Poi abbiamo scorto Pacheco che andava verso un isolotto che nessuno aveva considerato e alla fine abbiamo perso tempo per marcarlo. Alla fine avevamo sei pesci con sei specie ed eravamo secondi. Eravamo contentissimi perché in gara c’erano venti squadre di giovani con tanti brasiliani».
La seconda giornata
«Il mare era peggio del primo giorno. Ma abbiamo indovinato la partenza. Ho preso subito tre serra e Bellani un sargo di quattro chili. Pensiamo che a quel punto qualcuno abbia avvisato i brasiliani di ciò che stavamo prendendo perché sono arrivati di corsa. Tuttavia, in quel punto pieno di pesce c’erano condizioni da matti, con quel mare verso terra che neanche a vent’anni lo avremmo affrontato a cuor leggero. Eravamo cotti e avevamo più o meno gli stessi pesci dei brasiliani quindi - avendo già perso con loro la prima giornata - abbiamo pensato di essere ormai sconfitti, ma non sapevamo che i loro pesci erano più piccoli dei nostri e che in realtà eravamo in vantaggio. Quindi, abbiamo deciso di non marcarli anche perché eravamo stanchi e pensavamo di non avere chance. Ci siamo spostati a ridosso di un’isola dove abbiamo perso un’ora e mezzo senza prendere nulla. Allora siamo tornati lì e loro non si erano mossi. Alla fine Stefano ha preso un altro sargo di tre chili. Loro hanno chiuso con 15 pesci, ma a parte due sargo di sei chili gli altri erano davvero piccoli. Se fossimo rimasti sul posto forse avremmo vinto.
«Comunque, siamo partiti dall’Italia essenzialmente con l’idea di fare una bella figura e quindi se all’inizio ci avessero detto “arrivate secondi" ci avremmo messo la firma. Però, con il senno di poi diciamo che si poteva vincere», finisce di raccontare Maurizio.
Bellani
«L’idea del campionato è venuta perché mi ha chiamato un amico che mi ha detto “facciamo la gara in Brasile io te?”. Poi, si scopre che era un Campionato mondiale per club e ognuno doveva gareggiare con gli atleti del suo circolo e, quindi, io come Cicasub (che è il più titolato d’Italia) non potevo tirarmi indietro. Forte era il ricordo del Mondiale del 2002, quando avevamo partecipato con condizioni estreme. Non so se avete presente questo famoso “ascensore” che si genera quando l’onda oceanica si arrampica sulle alte pareti roccia e poi, ricadendo verso il basso, trascina di nuovo verso il fondo per molti metri il sub in risalita. Un fenomeno estremamente impegnativo e anche pericoloso. Queste erano state le condizioni a Cabo Frio nel 2002. Ma questa gara, invece, doveva disputarsi, a quanto mi dicevano, tra le isolette in mezzo al mare, in posti dovei i forti atleti locali prendevano due o trecento chili di pesce al giorno. Quindi, pensandoci, dall’Italia già mi figuravo acqua limpida, attrezzatura estreme e fucili lunghi in mezzo al mare. Ci siamo invece ritrovati in fondali con acqua torbida, due metri di visibilità, enormi onde oceaniche e specie catturabili limitate in modo importante dal regolamento, oltre a severi tetti di peso e di numero di catture per specie. Quindi, in un mare come quello brasiliano, in cui ci sono così tanti pesci che non vedi oltre la punta del fucile per le code che hai davanti, ci siamo ritrovati che - alla fine - si potevano prendere pochi pesci, perché tra quelli davanti al fucile non ce n’era mai uno valido. E pensare che ho smesso con l’agonismo estremo nel 2010 perché mi stava nascendo un figlio e dissi a me stesso che non volevo più rischiare troppo. Comunque, questa gara in mezzo al mare sembrava una bella idea e nei due o tre mesi di allenamento ci siamo divertiti e con lo spirito siamo tornati indietro di vent’anni. Ecco perché siamo arrivati in Brasile tutti gasati, ma c’è stata subito la delusione di Paggini, che è stato quattro giorni a letto con la febbre alta. Un po’ abbattuti da questo fatto abbiamo iniziato la preparazione, che è stata davvero dura. Il primo giorno eravamo solo in due e, dal secondo giorno, ci hanno assegnato un barcaiolo. Abbiamo poi pescato fuori dal campo gara l’ultimo giorno di preparazione. Infatti, il tipo di specie e i pesi minimi erano diversi dal mondiale del 2002 e, quindi, non potevamo sfruttare l’esperienza maturata a suo tempo, dovevamo sperimentare pescando. Fortunatamente il secondo giorno avevamo individuato la zona giusta nella quale potevamo anche vincere. Solo che io ho avuto i crampi e, dopo la terza ora, siamo andati a ridosso e abbiamo perso la frazione a favore dei brasiliani, che nel frattempo erano arrivata sul nostro segnale - forse avvisati da qualcuno - ed erano rimasti a pescare lì per tutto il tempo.
«In pratica, ci è successa la stessa cosa che mi era capitata al Mondiale del 2002 con Carbonell. Ricordo che quel giorno mi immergevo nell’onda spalla a spalla con Pedro; avevo diciassette pesci al pallone, Carbonell ne aveva sette. Pacheco, che aveva vinto la prima giornata prendendo pesci grandi, era partito per una secca lontana. Arrivò Roberto Borra e mi disse: vai a marcare Pacheco che sta prendendo pesci sulla secca. In quel momento, dove mi trovavo, stava diminuendo il numero delle prede e avevo già raggiunto il limite di una specie. E allora siccome Carbonell, nella mia mente, lo stavo già battendo, ho dato retta a Borra, ho mollato e sono andato su Pacheco che invece - come non tardai a scoprire - non era vero che stesse prendendo pesce. Quindi, io e Pacheco siamo stati battuti entrambi da pedro che, semplicemente, rimase a fare su e giù nell’onda e ci superò entrambi, sfruttando uno spot in cui arrivavano sempre nuovi branchi quando girava il flusso della corrente.
«Purtroppo, anche in questa Mondiale per club è successa una cosa simile. Eravamo secondi, eravamo nel punto dove si poteva vincere e siamo andati via. Nel nostro caso non ci eravamo resi conto di essere in vantaggio quando sono venuti a marcarci i brasiliani e quindi, perso per perso, ci sembrava un sacrificio inutile altre due ore in quell’inferno. Invece, a posteriori abbiamo scoperto che loro avevano pesci piccoli e che forse avremmo vinto se fossimo semplicemente rimasti in quel posto. La morale è che ci è andato tutto storto, ma siamo stati a un passo dal vincere, nonostante tutto. Eppure, ci siamo presentati alla cerimonia inaugurale davanti a venti squadre di giovanotti, sembravamo quegli astronauti “vecchietti terribili” di quel film in cui salvano il pianeta terra. Eppure, in un mare implacabile in cui, per quanto erano potenti le onde la schiuma era alta trenta centimetri sulla superficie, io e Ramacciotti per poco non vincevamo lo stesso».