La forte amicizia con un grande giornalista e un valido pescatore scomparso nel mare
Emanuele Zara
Ci sono amicizie profondissime che valgono più di tanti legami famigliari, rapporti fraterni che si spingono oltre l'immaginabile e per il sottoscritto aver condiviso gli interessi, la passione, le avventure, il mare con l'amico Antioco Lostia è stato uno dei periodi che rammento con maggiore piacere.
Era originario di Torino, come me, ci conoscemmo quasi per caso a inizi anni ‘90 parlando di modifiche e personalizzazioni “spinte” dell'attrezzatura: il feeling scattò in breve tempo. Come già scritto nei precedenti amarcord, è grazie all'esperienza di Antioco che sono riuscito ad andare in Algeria, in Tunisia in totale sicurezza. Anti, lo soprannominavo così, è stato inviato di guerra nei Balcani, assunto al quotidiano La Voce diretto dal grande Indro Montanelli. Era un giornalista davvero in gamba, posato, pacato, intelligente, disponibile e grazie a lui, ai suoi suggerimenti e consigli, alle storie che mi raccontava sono cresciuto anch'io iniziando a collaborare stabilmente con Pescasub&Apnea dopo la sua prematura e inattesa scomparsa.
Purtroppo, una domenica del 1995, precisamente la sera, il tramonto del 16 luglio 1995, mentre pescava dentici a Dhermi, nel sud dell'Albania, ha perso la vita; dopo alcuni giorni, a oltre 22 miglia di distanza, ritrovarono il corpo in Grecia, sul versante nord di Corfù. Non potete immaginare l'incredulità, la stretta al cuore, il dolore che provai appena mi informarono del tragico fatto. Eravamo stati a pescare insieme in Tunisia solo il mese precedente!
Ero in contatto con la mamma Orietta, con il fratello Alessandro e la sorella Caterina e quando ci furono le esequie in cimitero scoppiai in un pianto irrefrenabile che non riuscii a calmare. Da quel giorno non sono più riuscito a partecipare a un funerale, di nessuno, neppure dei miei cari. E da quel giorno, ogni volta che entro in mare sono in compagnia di Anti, sempre. Continuiamo a immergerci insieme.
Quella sera, in reparto...
Mi tengo strette nell'animo le varie avventure vissute con Anti e una di quelle indimenticabili accorse una sera, in pieno inverno, nel mio ambiente di lavoro, l'ospedale Molinette di Torino. Stavo quasi smontando dal turno serale, poco prima delle 23 quando squillò inaspettatamente il citofono.
Chi sarà a quest'ora? Il collega con cui dividevo il pomeriggio stava prendendo un caffè e quindi risposi io. Dall'altro capo la voce, inattesa, di Anti (il telefono cellulare non era ancora in uso a quel tempo...) che mi domandò se poteva disturbarmi solo un minutino, voleva farmi vedere una cosa, bramava dalla voglia di mostrarmi il suo nuovo prototipo per i pescioni.
Lo feci entrare e subito aprì la capiente sacca porta fucili svelando un fiammante Mirage 115 che si manifestò in tutta la sua intrigante bellezza! Anti si era procurato un nuovo serbatoio in alluminio, le due canne (la centrale e quella di precarica), tutti pezzi fatti fare al tornio nella lunghezza desiderata e aveva creato un vero capolavoro. Diciamo che la nostra frequentazione nacque proprio da questo ardore tecnico che pareva inesauribile: godeva nel preparare nuove soluzioni tecniche, trasformare fucili e accessoristica, reperire costantemente prodotti da testare! Quindi il Mirage 84 si era sviluppato in un inedito Mirage 115, capace di sparare pesanti aste da 8 a oltre 35 atmosfere. Il perchè di quella scelta fu dettata dall'esigenza di possedere un’arma per catturare i riccioloni. Ma mentre si maneggiava l'arma senza precarica, quindi “sgonfia del tutto”, Anti svitò la testata per mostrarmi la speciale boccola di ammortizzo e il pistone lavorato dal pieno, però, inclinando l'oggetto, l'olio contenuto fuoriuscì imbrattando tutto attorno. Per farvela breve, un mezzo disastro! Ci volle un bel po' di carta assorbente e tanta pazienza per recuperare la situazione...
Mentre uscivamo insieme dal nosocomio con il bavero dei cappotti tirati su per non patire i rigori di una fredda notte, ritornammo su quanto accorso e scoppiamo a ridere come bambini!
La ricciola, con le altre due che non volevano staccarsi...
Con Anti siamo stati diverse volte in Tunisia e quando arrivavamo in dogana era lui che trattava con i Tunisini che per svariate ore ci tenevano la vettura ferma con tutti i bagagli messi a terra per assicurarsi che non trasportassimo droga, alcool e chissà cos'altro di proibito. Ricordo la prima volta che sbarcammo a Tunisi provenienti da Genova: restai scioccato non capendo perchè ci lasciavano così per ore e ore, abbandonati al nulla, con le sacche dei vestiti, dell'attrezzatura subacquea aperte e sparse attorno alla macchina. Fu Anti a tranquillizzarmi e a spiegarmi che dovevo avere tanta pazienza: bisognava mediare, trattare su tutto.
Peggio ancora l'anno in cui ci accingemmo a entrare in Algeria (lui richiese e ottenne il visto sul passaporto giunto dopo mesi): appena passammo la frontiera restammo al sole per quasi tutta la giornata; dalla mattina di buon’ora, la situazione si sbloccò soltanto verso sera quando appurarono che la sacca dei fucili ci serviva soltanto per pescare. Ci restituirono i documenti quando eravamo praticamente sfiniti dalla lunghissima attesa. Io, da solo, non ce l'avrei mai fatta, ma Anti ci sapeva fare, eccome ci sapeva fare! Riusciva davvero a risolvere tutti i problemi più contorti e complessi: dopo i trascorsi come inviato in guerra nella ex Jugoslavia, non lo spaventava più nulla.
Un anno, a giugno del 1993, organizzamo una quindicina di giorni in Tunisia e per l'occasione era riuscito a portare il suo battello pneumatico, un Marshall 80 motorizzato Yamaha Top 700, che aveva da poco acquistato. Era sul carrello e in quel periodo non c'era il problema dei migranti, quindi non ci furono problemi a passare la frontiera e a gestirlo.
Una mattina presto raggiungemmo una propaggine rocciosa ed entrammo in acqua. Dopo qualche esplorazione trovammo un ciglio molto lungo che precipitava netto nel blu. Sull'orlata, a tratti, nuvole di occhiate e castagnole. Decidemmo di distanziarci e pescare a vista nella speranza di incrociare qualche pelagico. Gli aspetti si susseguivano nei punti dove c'era una rientranza, una crepa: la corrente vorticava, sembravano i luoghi più ricchi e concentrati di pescetti. Non era certamente un tipo di tecnica appassionante, per darvi un'idea era un po’ come “fare traina” lungo il percorso, su e giù, nella speranza di avvistare qualcosa; devo ammettere, una tipologia di approccio un filo noiosetto.
Dopo un'ora infruttuosa ci rincontrammo e l'amico mi disse che si era stufato, che non gli piaceva il posto. Mi chiese se poteva cambiare punto, prima cercai di motivarlo a restare ancora un po’ ma poi, visto che aveva giù preso la sua decisione, gli dissi di buttarmi la boa segna in acqua e di allontanarsi senza che perdessi di vista il gommone. Detto fatto, Anti salpò l'ancorotto, avviò il fuoribordo e sgasando, l'impressione che fosse un po' arrabbiato, si spostò. Per l'occasione impugnavo un Cyrano 120, anche questa lunga e inedita arma frutto di visite frequenti dal tornitore e il nuovo serbatoio, la canna lunga, i distanziali centratori nascevano dalle mani sapienti dell'artigiano, sinchè si otteneva ciò che si era progettato.
Iniziai di nuovo il percorso a ritroso. Non c'erano molti scogli dietro cui celarsi, si doveva sfruttare qualche pietra, qualche sbalzo; e poi avevo calcolato circa 5 metri dalla caduta verticale, mi tenevo su questa linea immaginaria legata all'effettiva gittata del pneumatico. La profondità media era sui 18/19 metri, con qualche leggera depressione che non arrivava a 22. Dopo un paio di tuffi vedo scartare una palla di mangianza. Scruto lo spazio limpido, mi spingo fuori dall'orlo che quasi verticale precipitava al limite della visibilità senza notare movimento. Lascio il pallone pedagnato verso la costa, mi allontano all'esterno e preparo, pinneggiando lentamente, il tuffo; controllo il mulinello, il filo e poi giù, verso un sassetto.
Non ero ancora ben appostato quando la mangianza si apre e dal blu arrivano improvvisamente tre ricciole, tutte grosse. Una è nettamente di dimensioni maggiori rispetto le altre, la punto. Mi sfila davanti, perfettamente a tiro; la stimo sui 25 chili, poi le altre due che nuotano sul filo del ciglio e che non sembrano intenzionate a curiosare. Allungo il Cyrano e faccio partire il colpo mirando il bestione a centro corpo, il punto meno critico al passaggio della tahitaina con la punta tricupide micro affilata; la distanza è considerevole.
Presa! Fucilata leggermente bassa ma scorgo il tratto dell'asta e il codolo terminale che non esce eccessivamente dal pescione; la ricciolona è stata passata a livello ventrale. Che tiro! Dopo un attimo di disorientamento parte verso il largo cercando di scendere oltre il ciglio ma io, mentre risalgo, trattengo il monofilo di nylon che, grazie all'elasticità, consente di non forzare troppo la tensione nel combattimento e la costringo a stazionare e girare proprio sul bordo del precipizio.
Riemergo e caccio un urlo liberatorio, poi ficco la testa nuovamente sott'acqua e osservo la ricciola che tira decisa e cerca di fuggire ma, incredibilmente, scorgo le altre due che la seguono! Provo a chiamare Anti con tutto il fiato che posso, però è sottovento, lontano, e non mi sente.
Cerco di portare la ricciola verso terra, il pallone è ben visibile, riesco a lavorarla all'interno della cigliata con il seguito dei due altri pesci appaiati. Per un quarto d'ora il mio pelagico è affiancato dagli altri due, poi mentre recupero piano piano il nylon da 1.40 e mi avvicino a terra le vedo defilarsi, fuggire definitivamente. Peccato non ci fosse stato Antioco.
Finalmente la bella ricciola è doma. La doppia aletta della tahitiana ha trattenuto bene il pelagico, il ventre non si è lacerato più di tanto. La infilo nel cavetto sotto il pallone e torno a pescare. Sono appagato, non sento l'esigenza di catturare altro e più che altro mi godo l'affascinante fondale, che merita davvero.
Passa una mezz'oretta e vedo Anti che arriva di gran lena. Alzo il fucile a mo’ di bandiera. L'amico mi chiede se ho visto qualcosa, gli rispondo di si, che ho preso un bel pesce, ma non gli svelo nulla. Andiamo a recuperare il pallone e la ricciola compare sontuosa sotto il pelo dell'acqua. Anti resta basito, poi mi dà una pacca sulla spalla. Gli spiego cosa era successo. Anti non hai mai preso una grande ricciola.
Torniamo a casa, ancoriamo il battello nella baietta e andiamo in pensione a farci una doccia e a riposare. La ricciola pesata con il dinamometro segnò 37 chili.
La notte in cui girò il vento...
Ho accennato al gommone acquistato da Anti nei primi anni ‘90 e del luogo in cui solitamente lo ancoravamo, nel mare di Tunisia. C'era un’insenatura abbastanza profonda nei pressi della pensione dove soggiornavamo e il battello era fermo a metà baia: avevamo messo una boa con il peso morto e l'ancora faceva presa sugli scogli sparsi con una lunghezza di cima generosa, quindi eravamo tranquilli.
Eravamo andati su alcune rimonte al largo e mentre tornavamo verso la linea di costa, verso sera, si verificò una situazione incredibile. Avevamo addosso le mute ancora bagnate quando da terra spirò un vento caldissimo, immaginetevi un phon, una temperatura così alta e secca da togliere il fiato. Un ragazzo tunisino che aveva voluto venire con noi e che educavamo a farci da barcaiolo, ci disse in francese che quello era vento del deserto! In due secondi eravamo asciutti! La cosa terminò lì.
Sul finir della vacanza Anti assicurò il gommone con il doppio metodo e poi tornò nuotando a riva. Andammo a cena e poi presto a dormire per uno degli ultimi giorni di pesca. Il mio amico, tra l'altro, pochi giorni prima riuscì a prendere una bella ricciola di oltre 20 chilogrammi, ma nel combattimento lasciò il suo amato monofilo di nylon nero avvolto su un mulinello eccessivamente in bando, così il pesce, passando attorno ai massi per cercare di liberarsi dell'asta, ingarbugliò decine e decine di metri. Per recuperarla si dovette doppiare il pelagico e dopo recidere il filo, una sorta di odissea! Ma la fortissima amicizia che ci legava era fatta anche di consigli, confronti, discussioni in modo da crescere e agire sempre per il meglio. Ci addormentammo pesantemente, come nostro solito, ma dopo qualche ora, credo fossero le due o le tre di notte, fummo svegliati da un ventaccio fortissimo che faceva sbattere gli usci di legno. Anti pensò subito al battello, salimmo in macchina e ci precitammo alla spiaggetta. Con i fari della macchina illuminammo la baia e vedemmo il Marshall ancora vicino alla boa rossa, però non libero di ruotare e con i generosi tubolari quasi a filo acqua, quindi piuttosto basso come linea di galleggiamento; ed era completamente girato verso il mare aperto.
Il ventaccio proveniente da terra, proprio forte, aveva sconvolto l'ambiente così da far quasi affondare il Marshall. In men che non si dica Anti si tuffò e iniziò a nuotare verso il gommone. Intanto tenevo la vettura accesa e i fari puntati verso il segnale. Raggiunse il battello, ma subito dopo sobbalzò all'indietro. Mi urla che ha preso la scossa. Una scossa?
La batteria è sott'acqua, mi dice! Intelligentemente recupera un remo e riesce dopo un paio di tentativi a strappare i fili e a portare la batteria fuori dall'acqua. Il tutto con onde ravvicinate e creste bianche. Poi sale sul gommone e mi comunica che deve accendere il motore per svuotarlo, il battello è pieno d'acqua! Lo Yamaha si avvia a strappo e dopo qualche tirata a vuoto il tre cilindri inizia a “borbottare”, finalmente riesce a farlo partire. Recupera l'ancora, toglie la cima dal segnale e si dirige verso il largo compiendo giri concentrici con i tappi di svuotamento aperti, Dopo una mezz'ora riporta lo scafo verso la boa rossa. Passa la sagola di prua e la fissa con un moschettone alla boa. Stavolta getta l'ancora nel senso del vento, fila la cima e la lega a un golfaro di poppa. La barca è fissata sempre in due punti, ma con la prua al vento. E non dovrebbe più riempirsi di acqua.
Anti tornò a riva trafelato osservando la scena. Restammo così per un bel po’, l'ancoraggio pareva stabile e il vento forte ora, con il battello di prua, non sembrava più un problema. Passata la paura, grande, tornammo a dormire. Il mattino dopo ci svegliammo tardi e non andammo in mare. Colazione con l'abituale uovo alla coque che Anti mi insegnò a mangiare la mattina. Tranquilli e rasserenati uscimmo di pomeriggio, per il tramonto...
A Portofino con il mitico Marshall 80 e il Top 700
Anti mi chiamò, particolarmente felice e soddisafatto, un pomeriggio dei primi anni ‘90. Lui che era un tipo riservato, a volte schivo, mi sorprese; ma l'amico era così, un signore che mi stupiva spesso. Con malcelata trepidazione mi raccontò di aver acquistato un pacchetto con gommone a chiglia rigida, motore potente e carrello usato, un'occasione, tenuto benissimo, e aveva trovato posto a Genova, al riparo del sole! Mi disse se volevo vederlo, provarlo e io acconsentii immediatamente.
Quando? Organizzammo per una domenica e decidemmo pure di fare una capatina a pesca. Infatti preparai la borsa con l'attrezzatura e misi nella sacca un fucile medio corto, un Cyrano 97. Era la fine della primavera, credo il mese di maggio. Partimmo da Torino e ci dirigemmo nell'area portuale. Anti mi guidò dove c'era la marina turistica e al cospetto di una specie di tettoia in cemento erano ospitate le barchette dei privati. Insomma, era come trovarsi in una rassegna ordinata di garage “aperti”. Ne scorremmo diversi poi, attesissimo, ecco il nuovo mezzo di Anti: tutto rosso! Chiglia red, tubolari red, pagliolato e console, tutto red. Solo il fuoribordo era blu, il famoso Top 700 della Yamaha, due tempi, tre cilindri. Il carrello sosteneva l'imbarcazione; pensare che il mio Bat 3.10 con il 15 cavalli era smontabile e la chiglia era costituita da un tramezzale in legno; questo gommone a chiglia rigida era “tanta roba” rispetto al mio “puledrino”. Anti prese il carrello e mi spiegò che la messa in mare la faceva un tizio con una specie di gru. Rimirai per bene quel gioiellino, spartano come finiture, ma pareva fatto apposto per uscire a pesca. Arrivò un signore con un mezzo dotato di gruetta e cinghie. Passarono sotto la chiglia l'imbracatura e poi calarono il gommone nell'acqua. Che emozione! Mi sembrava enorme! C'era il timone, nessun comando a barra... che comodità!
L'Amico avviò il motore, inserii la marcia e abbastanza silenziosamente ci allontanammo per uscire dal porticciolo. Che strana la chiglia rigida, si procedeva dritti e senza troppi sobbalzi. Mare tranquillo. Chiedo dove ha intenzione di andare, e lui mi dice: ti va Portofino? Non conoscevo la Liguria di levante, pescavo d'abitudine a Ponente, ma quella meta mi attirava!
In mare aperto Anti mi consiglia di tenermi bene, mi vuol far vedere come naviga. Da gas e il gommone va quasi immediatamente in planata, che meraviglia! C'è una potenza “devastante” rispetto al mio Jhonson 15 cv! Le onde sono basse e il Marshall “cammina” che è un piacere! Passo al comando, resto meravigliato dalla progressione del motore, pare non entri in coppia nettamente e spinge sempre da bestia! Dopo un quarto d'ora arriviamo in vista del promontorio. Sotto costa, c'è un pianoro poco e una leggera risacca. Controlliamo l'ancora e dopo aver indossato le mute ci buttiamo.
Anti ha piazzato una vistosa bandierina a lato della console; decidiamo di dividerci, uno sulla destra e l’altro sulla sinistra, senza allontanarci troppo. Non c'è traffico, siamo tranquilli, le grosse barche passano al largo. Che meraviglia questo fondale, il mare è trasparente e si vedono le rocce nitide dalla superficie. Decido di verificare se c'è qualcosa. Detto fatto, provo un aspetto alla base, non più di 3, 4 metri di fondo.
Punto il Cyrano 970 con tahitiana da 6.5. Dalla schiumetta sbuca un branzino discreto, viene dritto come un fuso, sono fermo e quando il muso giunge a pochi decimetri dalla punta premo il grilletto. Lo metto allo spiedo e solo quando lo afferro a due mani mi accorgo che è più grande di quanto stimato inizialmente, sarà intorno ai due chili! Lo metto in cintura e ripeto una seconda posta a brevissima distanza, sul lato sinistro del pietrone. Mentre cerco di piazzarmi scorgo una scodata argentea quasi in superficie.
Cosa sarà? Un cefalo? Avanzo di un paio di metri cercando di scoprire cosa si nasconde quando, improvvisamente, un secondo branzino sbuca dalla schiumetta. Sono leggermente scoperto, braccio semi flesso e il pesce, dopo avermi squadrato, scarta di lato. Non so come ma ruoto istintivamente il polso e sparo quasi al volo su un bersaglio rastremato e rapido. Fortunosamente lo becco. Passato poco dopo il peduncolo caudale pare indemoniato da quanto sbatte. Dopo qualche secondo riesco a raggiungerlo, a immobilizzarlo e con lo stiletto lo blocco.
Torno al gommone, spero che Anti abbia preso anche lui qualche pesce. Alza l'asta mostrando un bel sarago. Lo ripesco, lo aiuto a salire a bordo e quando vede le due spigole mi chiede: ma dove erano? L'Amico accusa il colpo ma non si arrabbia. Caspetta un viaggio di ritorno di quasi 200 chilometri, Dai che abbiamo battezzato bene il Marshall, Anti. Lui sorride, sornione.
Qualche anno dopo la scomparsa di Antioco, ci eravamo da meno di un anno trasferiti in Sardegna. 1999, mi arriva una telefonata dalla mamma di Anti, Orietta. Sono in Costa Paradiso, passate a trovarmi? Organizziamo e con mia moglie Lucia facciamo la trasferta in Gallura. Per farla breve, Orietta mi dice che Antioco amava moltissimo la Sardegna e il suo amato gommone era in un deposito, fermo da anni. Orietta mi chiede se lo voglio, aggiunge che Antico sarebbe stato contento, mi dice solo di procurami un carrello nuovo perchè l'originale è arrugginito e quasi inservibile. Tornerò su qualche mese dopo per ritirare il Marshall e portarlo a casa. E' datato 1986. L'ho ancora in uso.
Anti è contento di uscire ancora a pesca con me; e io lo accontento volentieri. Ci teniamo compagnia.