Sono tra i fondali più belli dell’intero Mediterraneo. Franate di grossi massi che si perdono nell’abisso in un’acqua sempre cristallo, dove sono i dotti, le cernie dorate, le grosse ricciole a farla da padroni. Certo, parliamo di zone impegnative per via delle quote, ma dove, soprattutto all’alba e al tramonto, le catture interessanti non mancano anche in 10, 15 metri
di Pietro Lanzafame
Il fascino delle Isole Eolie è indiscusso e sono davvero pochi i pescatori che non sognino tuffi profondi e catture da sogno nelle acque di questo arcipelago vulcanico al centro del Mediterraneo. Se tanti, tra i più esperti, visitano spesso queste isole e raccontano le loro avventure, negli ultimi tempi cominciano a emergere pescatori “autoctoni”, che grazie ai social e ai filmati divulgati attraverso il web sono balzati presto agli onori delle cronache.
Tra quelli forse il più troviamo Antonio Li Donni, eoliano di Lipari, che da un anno circa veste i colori di casa Salvimar. Antonio è un ragazzone barbuto e atletico che, forse per questo o forse per le enormi prede a cui ci ha abituato a vedere sui social, ricorda, a chi legge questa rivista fin dai primi numeri, quel Riccardo Andreoli e i suoi racconti di catture titaniche.
Antonio è un atleta del circolo Cacciatori Subacquei di Messina, ha preso parte a qualche gara, anche se la sua filosofia di pesca lo porta a preferire le uscite in solitaria, accompagnato da un compagno fidato, che gli fanno godere appieno le meraviglie dei fondali eoliani al di fuori del contesto agonistico.
E chi meglio di lui poteva accompagnarci alla scoperta di questi fondali e, in particolare, di quelli di Filicudi. Un’isola caratterizzata alla costante dei grossi massi accatastati e ricchi di vegetazione, che franano verso il blu, spesso a quote importanti, a volte partendo da batimetriche accessibili a tutti, sempre popolati di vita ma capaci di creare cunicoli inespugnabili grazie ai quali le prede più ambite riescono a raggiungere un’età e una mole ragguardevoli.
Abbiamo chiesto ad Antonio di accompagnarci in una sua giornata tipica nelle acque di Filicudi.
«Quando organizzo un’uscita e decido di fare rotta verso le isole più lontane, per prima cosa controllo il meteo. Si sa, siamo alle Eolie e il vento qui non manca mai. Programmo le mie pescate in base al periodo e al luogo. Spesso mi affido al mio sesto senso e alle esperienze acquisite negli anni passati. Il mio periodo preferito comincia nei giorni tra fine aprile e inizio maggio, quando le correnti convettive portano microorganismi come zoo e fitoplancton, innescando la catena alimentare dei piccoli pesci e, a seguire, dei predatori. Le belle giornate scaldano lo strato superficiale dell’acqua e alcune specie iniziano a risalire dalle profondità. E’ in questo periodo che comincio a pescare in franata. Fondali che creano dei veri e propri labirinti: l’habitat perfetto per le cernie ma anche per saraghi e corvine.
«Uno dei miei luoghi preferiti, con frane mozzafiato, è proprio Filicudi. Un posto straordinario, che in passato mi ha regalato grandi emozioni. Frequento principalmente lo specchio d’acqua che parte dalla Canna di Filicudi fino ad arrivare al Monte Nassari. Il terreno è simile a una pianura che degrada lentamente, con enormi massi, per poi cadere in franate ai lati della secca fin nell’abisso. Qui la corrente è una costante e spesso conviene avere un compagno cui alternarsi, facendosi vicendevolmente da barcaioli e pescando a favore del flusso. Sono solito pescare all’agguato, scorrendo il fondale e aggirando le grosse pietre nel tentativo di sorprendere le grosse prede, che di norma sono nascoste nella penombra.
Consiglio di tenere la torcia sempre in mano, pronta all’uso e di scegliere un fucile facile da brandeggiare e potente. Secondo me i migliori sono quelli ad aria, sottovuoto, che da qualche tempo ho preferito ai lunghi arbalete in legno.
«C’è poi un posto, magico: la Secca dei sei metri - continua a raccontare Antonio -. Un sommo a portata di tutti, che parte da una base di 45 metri sulla sabbia e risale come una colonna fin quasi in superficie. Segnata sulle carte nautiche, si trova sul versante nord dell’isola, a metà strada tra lo scoglio Giafante e la Sciara. Ci vado spesso al tramonto perché probabilmente è l’unico posto dove è possibile incontrare i grossi dentici. Ai lati, intorno ai 15 metri, si sviluppa una pianura, sulla quale l’incontro con i dotti (e le cernie dorate è la regola. Da qui, spostandosi sul versante che guarda la Canna, parte un orlo molto interessante, che digrada dai 24/28 metri fino a 36 circa, dove è possibile la cattura di qualche cernia bruna. In questo punto la franata è spesso battuta da forte correnti e non è mai da escludere l’incontro con i pelagici; non per niente ci ho visto più di un tonno. Siamo infatti lontani dalla costa, con tanta corrente e tanta mangianza ed è facile che la rotta di questi siluri incroci quella della franata: a me è capitato specialmente all’alba e al tramonto.
Tonni a parte, vi ho preso un dentice di 8 chili e ho visto un ricciolone di oltre 30 chili fermo in parete.
«Come accennato, sempre all’alba o al tramonto, anche chi non scende profondo riesce sempre a fare qualche bella cattura, specie nella zona che guarda a sud, dove inizia una parete ripidissima fino a 45 metri: già da 15 metri incrociano cernie dorate e dotti.
Addirittura, una volta, assieme a Peppino Preiti (nostra conoscenza e amico di Pescasub&Apnea, ndr.), ci è capitato di assistere allo spettacolo di queste cernie dorate che sciamavano intorno ai sette metri.
«Infine, uno spot che mi riservo sempre di visitare a fine giornata è quello alla base della Canna: specialmente al tramonto regala emozioni fortissime».
Qualche ricordo particolare?
«Un ricordo che resterà indelebile nel tempo rigurda un episodio accaduto ai piedi della Canna. Ero con un gruppo di amici quando decisi di provare qualche tuffo al tramonto. Gli altri ridevano e mi dicevano di lasciar perdere, dato che stava quasi per diventare buio. Ma quando mi metto qualcosa in testa… Inizio la discesa e ancora prima di arrivare sul fondo decido dove andare ad appostarmi per poi tentare un agguato. Un grosso masso fa da ciglio: qui capita spesso di incontrare grossi dotti e cernie. Ero così concentrato sul quel masso che quasi non mi accorgo di una ricciola proveniente dalla destra. Il pesce è talmente vicino che mi fa prendere uno spavento. A meno di un metro dalla punta dell’asta faccio partire il colpo: il pesce va in sagola e comincia una corsa che mi sbobina il mulinello. Comincia il tira e molla. Ma non c’è possibilità per la preda. Dopo alcuni minuti di combattimento, riesco ad abbracciare il grosso pelagico: stupendo! Riemergo raggiante, sotto gli occhi increduli dei miei amici».
Box Chi è Antonio Li Donni
Nasco a Lipari, da una famiglia di pescatori. Mio nonno, un pescatore professionista, mi portava con lui nella sua barca a salpare le reti. Anche se molto piccolo, ricordo che ero affascinato nel vedere le reti risalire dal blu e scrutare se appariva qualche specchiata del pesce.
La mia passione per la subacquea nasce quando indossai per la prima volta una maschera regalatami da mio zio: lo inizio così a seguire nelle sue uscite nel basso fondo alla ricerca di polpi e seppie.
Dopo la scuola, ricordo che mangiavo giusto un boccone per correre subito al porto Pignataro, e li passavo interi pomeriggi ad aspettare il rientro delle barche dei pescatori. Un giorno rientrò un motoscafo con due sub: mi avvicinai e rimasi affascinato dalle loro attrezzature, le lunghe pinne e i fuciloni a elastico.
Da quel momento, tutte le volte che li vedevo arrivare li aiutavo a portare le loro attrezzature. Un giorno uno di loro mi disse: ho un regalo per te. Aprì il portabagagli e tirò fuori un fucile a molla, che diventò il mio compagno di mille avventure. E non smisi più di mettere la testa sottt’acqua tutte le volte che potevo.