E’ il direttore tecnico della piscina di Montegrotto, nonché cofondatore di Apnea Academy. Le difficoltà di gestire “il traffico” in acqua e le qualità che contraddistinguono secondo lui un bravo istruttore
Filippo Carletti
Se siete entrati almeno una volta a Y-40 di Montegrotto Terme lo avete sicuramente incrociato. Forse è successo in piscina, mentre scrutava meticolosamente gli apneisti sui cavi, forse tra i corridoi e il bar, dove rimbalza tra una sessione di acqua e l’altra. Marco Mardollo è storia e cultura, è saggezza e passione, ma soprattutto è il padre fondatore di una parte importante dell’apnea moderna e contemporanea.
Ciao Marco, oggi sei direttore tecnico di Y-40, cofondatore di Apnea Academy e, non poteva essere altrimenti, istruttore di apnea e di subacquea. Come ti sei avvicinato all’apnea?
«Da giovane ero un buon nuotatore e possedevo un’ottima acquaticità. Poi, come molti, mi sono distaccato dal nuoto perché lo ritenevo ripetitivo e noioso. In quello stesso periodo capitò di provare un corso assieme a un amico di mio papà, che era un istruttore subacqueo.
Quelli che già lo praticavano erano tutti più carenti da un punto di vista atletico e tecnico nel nuoto, in più mi appassionò molto velocemente andare sott’acqua. Nel ‘69 la subacquea era ibrida. Si dava modo di praticare sia apnea che bombole, lasciando queste solo da ultimo, nella parte finale del corso. Ho seguito quindi molti corsi, sono andato in vacanza in Grecia, e l’apnea da quel momento ha iniziato a occupare una parte preponderante di me. All’epoca si scendeva senza molte cognizioni, ma per chi sapeva muoversi bene in acqua i 25, 30 metri erano obiettivi piuttosto alla portata. Iniziai così; e continuai insegnando a Padova, negli anni del liceo, dove lentamente mi accorsi che la subacquea con le bombole era troppo rigida, troppo schematica e che avrei voluto dedicarmi completamente all’apnea. E così mi venne in mente di organizzare un corso di apnea avanzato. In questi corsi, invitando vari atleti, conobbi l’astro nascente Umberto Pelizzari, con il quale iniziammo a scambiarci idee e notizie. Dicevo sempre che mi sarebbe piaciuto creare qualcosa di nuovo, una federazione magari. Lui invece diceva che quella già esisteva e che sarebbe stato bello creare semplicemente una scuola. Proprio in quegli anni, durante un record mondiale, Umberto ebbe un taravana in risalita dal tuffo e dovette fermarsi per qualche mese. In questo tempo restammo in contatto, continuammo a sentirci e un giorno suonò il telefono: “Ci ho pensato, potrebbe essere una buona idea - mi disse. - Proviamo! C’è anche uno di Genova che mi ha proposto una cosa simile. Perché non ci troviamo?”. Così nacque Apnea Academy».
Cosa c’entra Padova e come è nata Y- 40?
«Devi tenere presente che esistono vari tipi di istruttori. C’è chi insegna, chi organizza, chi si occupa di alcune cose e chi di altre. A Padova avevo iniziato con Umberto e Nicola Sponsiello, dietologo, appassionato di apnea e grandissimo pescatore sub. Avevamo tutti ottime nozioni e siamo diventati un team di riferimento. Per quanto riguarda l’aspetto mentale e psicologico, era entrato ,al posto di Luigi Odone Lorenzo Manfredini. Come Apnea Academy siamo partiti già nel ‘94. Eravamo io, Umberto, Renzo Mazzarri e
Angelo Azzinari. C’era poi Luigi Magno per la parte di fisiologia, Sponsiello per quella di dietologia e nutrizione, Odone e Mauro Ficini. Questi ultimi erano i responsabili della parte scientifica del progetto.
«Di fatto il primo corso istruttori che organizzammo all’Isola d’Elba si tenne nel 1995, ma le riunioni e i preparativi erano tutti già iniziati un anno prima. Avevamo preso in considerazione, probabilmente per la prima volta, rilassamento e respirazione assieme all’aspetto mentale e alla fisiologia. La grande consapevolezza che ci ha contraddistinto da subito è stata quella di percepire l’apnea non solo come una disciplina, ma anche come un’attività di benessere. Infatti, dividevamo le sessioni di rilassamento e respirazione nei centri termali dalle sessioni di dinamica e da quelle di preparazione fisica. Prima di noi non era mai stata concepita la statica come elemento di piacere e benessere. Così come, a oggi, Y- 40 è l’unico centro dedicato alla subacquea in Italia che è fruibile 12 mesi l’anno, con qualsiasi meteo. Qualsiasi cosa accada, è il punto di riferimento di chi cerca la profondità».
E come nasce Y-40?
«Nel 1982 insegnavo come istruttore presso un club di Padova. Uno dei miei allievi era il figlio dei proprietari di un albergo termale. Succede che un giorno, facendo la doccia, lo sento che dice: “la vestizione sul fondo non mi riesce troppo bene, riproverò a casa”. Ovviamente tutti scoppiammo a ridere. Successivamente ci invitò all’hotel Millepini, e da quel momento iniziammo a organizzare serate assieme all’interno della struttura. Nel 2011 mi chiama e mi dice: “Ciao, come stai? Vorrei parlarti di una cosa”. “Che vuoi fare, una spa? Bello”. “No, no - mi risponde - vorrei realizzare la piscina più profonda al mondo”.
«Mentre stava terminando la frase ero già in macchina per raggiungerlo. Parlammo un po’. Nel frattempo, ero rimasto attivo come istruttore, ero rimasto aggiornato, sempre sul pezzo e così quello che vengo a sapere è che un mese dopo avrebbero iniziato i lavori. Ma non solo. Ero stato scelto per seguire gli aspetti tecnici e la sicurezza del nuovo impianto. Dal 2012 - 2013 lavoro a Y-40 e mi occupo della parte tecnica, inclusa quella dei regolamenti, della sicurezza e delle attrezzature».
Cosa significa avere un ruolo così importante in uno dei templi dell’apnea moderna?
«È una bella soddisfazione, anche se ci si scontra con passioni e difficoltà. Il problema principale è quando ci sono troppe richieste e tutte per gli stessi spazi. La piscina ha 40 posti, perciò quando arriva un gruppo notevolmente numeroso e la prende tutta per sé, allora si distribuisce ed è molto semplice. Ma quando, invece, ci sono giornate dove tutti vogliono andare a 40 metri, allora diventa un problema. Anche la preparazione del tuffo non è scontata. C’è chi ventila troppo, chi non ha la tecnica per usare il pozzo e chi semplicemente è ancora inesperto per certe quote. Spesso suggerisco di ventilarsi lontani dal cavo e di farsi portare dal buddy solo una volta pronti. In generale, è sempre bene che i gruppi numerosi si dividano tra aree più e meno profonde. Inoltre, come molti già sanno, è assolutamente vietato entrare in acqua senza compagno, o avventurarsi nelle grotte in apnea, oppure non usare il lanyard e il computer».
Com’è nato il test di Mardollo e quali altri esistono?
«Il test è nato come controllo della forma fisica e segue parallelamente l’utilità del test di cooper per la corsa. Conta quanta distanza si riesce a fare in apnea, con recupero in movimento. La distanza totale è il risultato di quanto un atleta è allenato, sempre a patto che ci si impegni e che si dia tutto in quei 12 minuti. Il vero confronto è sempre con sé stessi e può indicarci sia il grado di allenamento sia se il cambio dell’attrezzatura è funzionale per noi oppure no».
Cosa significa migliorare e perché sembra ci sia più attenzione sull’attrezzatura che non sulla formazione?
«Quando le persone vanno a sciare si basano sugli sci belli, anche se non sono capaci di utilizzarli. Lo stesso accade nell’apnea. Il 70 per cento dei praticanti, pur andando fondo, non sa pinneggiare. E magari trovo ai loro piedi pinne da 400 euro. Il fatto che un apneista vada a 40 metri non è indicativo del fatto che sia bravo, ma che abbia una sufficiente forza e allenamento. Ci sono persone che hanno veramente una forza erculea, però magari si tuffano con una postura tremenda e una pinneggiata inguardabile. Se avessero i giusti accorgimenti e la corretta attenzione, farebbero scintille. Molti investono poi in compensazione, che sicuramente ti regala molti metri. Ma pinneggiando bene, muovendosi bene sott’acqua, si possono tranquillamente raggiungere le stesse quote. A Y-40 si può arrivare sul fondo anche con pinne da 20 euro, è una questione tecnica. Certo, so che è più faticoso, ma la vera capacità dell’apneista è quella di sapere come partire rilassato e avere un’ottima conoscenza del respiro».
Visto che ne incontri decine al giorno, cosa caratterizza un buon istruttore?
«Ci sono tantissimi istruttori, e più passano gli anni più il numero aumenta in maniera esponenziale. Ma, aimè, il livello non è così alto. La vera abilità sta nel capire le difficoltà dell’allievo e fornire il giusto consiglio per aiutarlo nel risolverle. Tempo fa ho assistito a una lezione in cui un istruttore tornava in superficie con l’allievo e consigliava di aprire le gambe a 22 gradi durante la pinneggiata. All’allievo successivo rifilava lo stesso consiglio.
E io intanto pensavo a questi che dovevano avere presente quanto fossero 22 gradi.
Aveva imparato a dire questa cosa e la ripeteva a tutti. Per essere bravi bisogna personalizzare aspettative e capacità, così come è importante scegliere i consigli e gli esempi in base alla persona e al problema».