Tra record mondiali e nazionali è entrata decisamente nell’olimpo dell’apnea indoor. Quando ha iniziato e come è arrivata all’agonismo
Filippo Carletti
«Ho cominciato a fare apnea per puro caso - ci risponde -. Non sapevo che esistessero le discipline indoor e per me quello era un periodo particolare. Nuotavo nella piscina dove tutt’oggi mi alleno, a Sesto Calende. Proprio lì c’era un cartello affisso dove si parlava di apnea. Penso di esserci passata davanti per sei mesi. Poi, iniziò l’inverno e mi convinsi ad andare alla lezione di prova.
L’istruttore proiettò il video di un atleta che utilizzava la monopinna e mi ci innamorai. Rimasi affascinata da queste distanze incredibili che potevano essere percorse sott’acqua, dal protocollo di uscita. Mi decisi che volevo provarci. Ricordo ancora quando portò le monopinne per farcele provare. Letteralmente mi lanciai, alla seconda lezione già facevo 50 metri e così iniziai anche con le gare. Dopo 2 mesi andai ai Campionati italiani, collezionando i miei primi 2 ori: da lì non mi sono più fermata. Penso di essere predisposta per questo sport, ma di certo è fondamentale l’allenamento. Ho iniziato che avevo 41 anni e sono convinta che per me fosse quello il tempo maturo per riuscire in ciò che ho fatto. I record arrivano solo quando e se vai alla ricerca del limite, deve esserci una pulsione profonda, volersi spingersi oltre. Alla fine quello di cui davvero vado fiera e che mi porto dietro non è il numero, ma tutta la strada fatta per arrivarci, quella è la mia più grande soddisfazione.
«Quest’anno è stato molto buono, tra gli obiettivi che ho raggiunto c’è un record a pinne assoluto in vasca corta (vale a dire che è un record da battere anche per i maschietti).
Ai Mondiali di Belgrado ho conquistato un bronzo e un record Italiano in vasca lunga, ristabilito nel 2023 durante i Mondiali in Kuwait, dove è arrivato anche il titolo di vicecampionessa del mondo nelle due pinne e un bronzo nella monopinna assieme a 3 World Record Master50 nelle tre specialità della dinamica».
Come si arriva a percorrere più di 200 metri sott’acqua? Tutti possono riuscirci?
«Non è sicuramente semplice. È un mix di cose. Per ottenere certi risultati serve disciplina, costanza e metodo. Ci vuole un buon programma di allenamento che non comprenda solo l’acqua, ma che prenda in considerazione ogni variabile e ogni aspetto. È importantissimo curare l’alimentazione e sapere alla perfezione cosa mangiare e quando mangiarlo, tenendo conto di quanto si consuma, come lo si reintegra e quali tempi di recupero servono. Fondamentali sono anche i periodi di carico e scarico. E ovviamente ognuno di questi aspetti deve lavorare assieme.
«Mi alleno in acqua circa 2 volte a settimana, senza mai superare i 130 metri. In prossimità delle gare inizio ad allungare le distanze, fino a un 70 per cento del totale, per testare la preparazione. Le energie mentali contano tantissimo nella dinamica, e in una prestazione di 250 metri con la monopinna a fare la differenza è sicuramente la parte mentale. Per me il metodo è tutto. Sapersi ascoltare, sapere cosa stai facendo, controllare la situazione in ogni momento».
L’apnea sta crescendo in Italia? Come era e come sta diventando?
«L’apnea è sicuramente cambiata molto. Cominciando dall’attrezzatura Quando ho iniziato ci si buttava in acqua con quello che si aveva, magari “home made”. Non c’era l’equipaggiamento di adesso. E stiamo parlando di appena 9 anni fa: oggi abbiamo pinne, monopinne e collarini, mute e tanto altro che sono incredibilmente più performanti. Inoltre, ci sono club che hanno scritto la storia, che con metodo hanno fatto crescere molto gli allievi, dal giovane al più anziano, con programmi strutturati che permettono di alzare il livello di ogni tipo di fisico e persona. L’associazione sportiva Sottopressione è attualmente la realtà più forte d’Italia e quest’anno ha raccolto i frutti del suo duro lavoro. Anche il mondo delle gare è cambiato. La competizione è salita di livello e quando si entra in acqua lo si fa davvero con il coltello tra i denti; si gareggia per vincere. Non ci si gioca solo un risultato, ci giochiamo il lavoro di un intero anno».
Come si allena chi, come te, deve pensare ai risultati? Come viene vissuta la propria routine?
«Mi alleno 6 giorni su 7. È molto impegnativo perché, oltre all’acqua, c’è tutto il lavoro a secco, che è importantissimo. Las preparazione non termina mai. Basti solo pensare a quella mentale, un flusso continuo in cui ci si concentra su sè stessi. Faccio parecchi lavori di respirazione, anche attraverso aiuti esterni e coaching sportivi. Porsi obiettivi che vanno oltre quello che riusciamo a fare in quel momento, mette in crisi, non è facile, così come non è semplice fare 200 metri ogni volta, anche se sono misure decisamente alla portata per me.
In definitiva, in una stagione lavori continuamente, per giocarti tutto in 3 minuti di gara. Devi calcolare ogni cosa, le aspettative tue e degli altri, l’ansia, gli imprevisti, lo stress. Anche quello è parte dell’allenamento».
In uno stage con Pavia Apnea parlasti della tecnica del self talking, che dicesti di usare spesso. Cosa significa?
«Quella è una tecnica che utilizzo molto, soprattutto per incitarmi. Trovo utilissimo parlarsi in continuazione, sapersi ascoltare e capirsi. Durante una dinamica non si deve mai pensare alla distanza finale, se lo fai hai già finito. La performance va costruita pezzo dopo pezzo, metro dopo metro, godersela all’inizio premiandosi e gioendo delle sensazioni positive. Poi, naturalmente, arriva una fase più difficile, ma è importante tener duro, considerando che dopo andrà meglio e che quello è solo un picco di stress. Da lì inizia la fase che a me piace di più, cioè quella ipossica. E’ come una vertigine, Il rischio è di perdere il contatto con la realtà con il proprio corpo, mentre si deve restare vigili; è una sensazione rischiosa e bellissima. Proprio per questo è necessario parlarsi in continuazione».
Seguendoti anche sui social ho visto che ti sei dedicata tanto alla profondità. Che rapporto c’è tra dinamica e tuffi fondi?
«Sono due cose completamente diverse. La dinamica è controllo puro, mentre la profondità è puro abbandono. Le mie difficoltà iniziali sono state che “affrontavo” la profondità, e già il termine è sbagliato! Oggi invece va molto meglio, al di là della compensazione, che è fondamentale, ora per me fare switch è davvero più facile».
La comunità apneistica è coesa in italia? Ci sono amici e compagni in questo mondo?
«In gara esiste solo la competizione. A livelli internazionali soprattutto, ma anche agli italiani. La comunità apneistica però c’è, esiste ed è coesa. Penso che facciamo parte di uno stesso grande gruppo, condividiamo la stessa esperienza di estremo benessere al contatto con l’acqua ed entriamo in risonanza tra noi quando siamo vicini, proprio per quel qualcosa che l’acqua dà a ognuno di noi».
Progetti e stage?
«Da un anno seguo qualche atleta. È un lavoro impegnativo perché lo affianco alla mia attività di agonista, quindi cerco di farlo offrendo la massima qualità, ed è fonte di grandi soddisfazione. Ho diversi progetti e richieste per la stagione 23-24 e a livello agonistico sto pensando se preparare le qualifiche ai World Games, in Cina, nel 2025; si terranno in occasione dei Mondiali indoor a Belgrado la prima settimana di luglio del 2024. Sto anche pensando di fermarmi, però è un obiettivo molto sfidante e potrei decidere di prepararli».
Qualche consiglio per chi volesse iniziare, anche solo per passione?
«Amo questa disciplina, ci aiuta a capire chi siamo, ci offre una visione diversa di noi stessi in un altro ambiente. Sott’acqua ci sono condizioni differenti, ci comportiamo diversamente e di conseguenza siamo più aperti verso noi stessi. Mi sono buttata in acqua per puro caso, ed è venuta fuori un’avventura bellissima. Si dice di non rimanere nella propria comfort zone o, piuttosto, direi semplicemente di sperimentare altre cose. In acqua si può trovare e provare un nuove sé e un nuovo punto di vista, completamente diverso a quello a cui si è abituati. Ed è affascinante!».
Foto Fabio Bonanno