Una vacanza a cavallo del Capodanno è stata l’occasione per qualche uscita tra Baia Ostina e Coscia di Donna, fondali che di solito, in questo periodo, sono ricchi di spigole. Però, l’acqua insolitamente calda ne aveva ritardato l’entrata. Non sono comunque mancati saraghi, ricciolette, cefali e tanute
di Gherardo Zei
Massimo Repetto, con la sua voglia di viaggiare e di scoprire nuove località in Italia come all’estero, è diventato un apripista per i progetti di vacanze di tanti nostri lettori che, al pari della maggior parte degli appassionati, sono desiderosi di vivere esperienze di ottimo livello, ma senza estremizzazioni. Parliamo di giornate spensierate in compagnia di amici e familiari e di qualche bella mangiata con il pesce appena preso.
Questo volta Massimo è partito soltanto con sua moglie per trascorrere qualche giorno, a cavallo dello scorso Capodanno, da una parente che ha casa a Platamona, in Sardegna.
«La mia idea – ci racconta Repetto - era anche quella di provare la giacca nuova da 8 millimetri in liscio spaccato Yamamoto preparatami per l’inverno dalla Top Sub. Volevo immergermi tra Castelsardo, Stintino e zone limitrofe, restando nel bassofondo alla ricerca dei branzini. Ma in questo strano anno la Sardegna ci ha accolto con un tempo quasi estivo. In quei giorni ci sono stati costantemente venti gradi di temperatura esterna e circa sedici o diciassette in acqua. Pertanto, ho usato la giacca da 8 solo il primo giorno e poi ho ripiegato su quella da 6,5 millimetri.
«Mi aspettavo circa 14 gradi anche se, certamente, in Sardegna l’acqua invernale resta meno fredda che nella mia Liguria, dove d’inverno si scende anche sotto i 12. Poi c’è l’Adriatico, che merita un discorso a parte perché in quel mare basso l’acqua invernale raggiunge temperature ancora più basse. In ogni caso, tornando alla Sardegna in quella vacanza non ho catturato spigole e - tuttavia - ho trascorso belle giornate con qualche cattura interessante e conoscendo dei posti e dei fondali che meritano di essere spiegati».
Baia Ostina
«Il primo giorno sono stato a Cala Ostina, a est di Castelsardo, in un’insenatura all'interno del Golfo dell'Asinara. E’ una cala molto frequentata anche perché protetta da due alti promontori che la riparano dalla forza del mare. Insomma, un posto splendido, con un arenile chiaro e magnifici ciottoli levigati. Tutto intorno, la classica macchia mediterranea sarda con i suoi colori e profumi. «Sono divertenti alcune curiosità sull’origine del nome di questa località. C’è infatti chi sostiene che “Ostina” sia un’abbreviazione di “Augustina”, in quanto in zona vi sarebbero stati alcuni insediamenti risalenti all’epoca dell’imperatore Augusto. In effetti, ancora oggi si possono apprezzare diverse vestigia archeologiche. Ma esiste anche un’altra scuola di pensiero secondo la quale il nome “Ostina” deriverebbe dalla presenza di una particolare varietà di piccola aragosta.
«E’ un posto comodo da raggiungere perché, subito dopo l’abitato di Castelsardo, si segue la strada verso il mare e si arriva a un parcheggio che consente di fermarsi praticamente sul mare. Ci si cambia con le solite taniche di acqua calda e saponata e poi si entra in un punto tranquillo e protetto. «Nuotando verso nord, in direzione di Isola Rossa, il fondale è ideale per restare in pochissima acqua in cerca di spigole. Ci si trova infatti al cospetto di un ampio bassofondo che va dai 4 ai 10 metri, molto simile a quello che si può trovare in tutto il tratto tra Castelsardo e Isola Rossa. Parliamo di un bassofondo di posidonia con roccioni situati a intervalli e poca sabbia bianca. Purtroppo, come accennavo prima, la temperatura del mare era troppo elevata per i branzini. C’era tanta mangianza: saraghi piccoli e qualche cefalo, però niente spigole. Pertanto, pur essendo piombato con un generoso schienalino per il poco fondo, sulla via del ritorno mi sono portato in fuori, sui 10 metri con puntate sui 15 e ho visto una cernia bella e corvine piccole. La cernia non sono riuscito a catturarla perché si è intanata in un punto buio, nel quale riuscivo a scorgere il fumo del sedimento spostato ma non ero in condizioni di vedere il pesce. Con la torcia l’avrei catturata, ma in Sardegna è vietata. E non avevo un gommone che mi avrebbe consentito di togliere lo schienalino e andare più fondo, tra i 16 e i 18 metri, a cercare pesci in tana, dove li avrei trovati quasi certamente. Quindi, alla fine mi sono accontentato e ho preso solo un bel sarago e un polpo, incontrato vicino al punto di uscita.
«Una nota curiosa è stata quella determinata da una battuta di caccia al cinghiale che stava avvenendo nelle vicinanze. E quindi mia moglie, che era venuta per godersi una bella giornata di sole nella natura, si è ritrovata a essere circondata da questi cacciatori. Una situazione curiosa al punto che, entrando in acqua, le ho detto di mettersi il “fratino arancione” che era in macchina e di restare vicino all’automobile...
Coscia di Donna
«Per due giornate (una con mare grosso e una con mare calmo) sono andato a Coscia di Donna, una località famosa del “mare di fuori” di Stintino. Tra le spiagge della zona è una delle più selvagge e poco frequentate dai bagnanti a causa del pochissimo spazio. Ma è stupenda e vale la pena di andarci, anche perché è semplice da raggiungere da Stintino: dopo l’ultimo pezzo di strada sterrata, si trova uno spiazzo adibito a parcheggio dal quale si diramano vari sentieri che portano verso le calette. Secondo taluni il nome di Coscia di Donna deriva dalla forma di un relitto presente in zona. Altri, che sostengono che il relitto si trovi in realtà distante, pensano invece che il nome nasca negli anni Cinquanta e derivi dall’utilizzo da parte delle turiste continentali dei primi costumi due pezzi.
«La volta con il mare grosso sono partito dal parcheggio, dove c’è la baia con il ciottolato. Da li si può andare a sinistra o a destra. Viste le condizioni del mare, ho la sinistra, verso l’entroterra, perché mi sembrava la zona più sicura. L’itinerario si presentava tutto di roccia, con due o tre spunzoni più verso il fuori e, alla fine, una punta imponente. Il fondale scendeva quasi subito tra i 10 e i 16 metri e c’era tanta onda. Zavorrato generosamente com’ero, avevo l’idea di immergermi alla base della roccia e tentare qualche agguato risalendo dal basso verso l’alto, fino al limite dei frangenti. Pensavo di insidiare i pesci che mangiavano nella schiuma della mareggiata e mi illudevo ancora di catturare una bella spigola.
«Di agguati a risalire ne ho fatti tanti e ho visto tanti saraghi medio piccoli (sui trecento o quattrocento grammi), ma non ho sparato e parimenti ho risparmiato una cerniotta troppo piccola. Alla fine, mi sono portato più al largo e ho avuto la fortuna di individuare a mezz’acqua, su un fondale di una quindicina di metri, un gruppo di belle tanute. Sono sceso in caduta e ne ho catturata una, nel modo classico in caduta Non ho trovato altro pesce nella schiuma a parte due cefali terrorizzati. Forse c’era un barracuda gigante in giro che li spaventava e non l’ho visto?
Questo pensiero mi riporta al ricordo di tanti anni fa quando ero ospite del compianto Bruno De Silvestri e lui mi aveva portato a Pula. Da grande campione quale era, Bruno aveva fatto un pescatone, mentre io avevo preso poco. Sulla via del rientro, a un certo punto ferma il gommone e mi dice: «vai a provare due aspetti verso quella roccia affiorante puntando il fucile in direzione della costa. Troverai i barracuda più grossi della Sardegna.
«Pensavo che stesse scherzando, ma ci sono andato lo stesso. Appena fermo l’aspetto mi sono arrivati sulla testa un centinaio di barracuda tutti grossi, ho alzato il fucile, ho sparato al primo che avevo vicino: era un pesce di cinque chili. E mentre rientravo verso il gommone sentivo la voce di Bruno che scherzava gridando: “hai sparato a un coccodrillo!». Bel ricordo.
Comunque, tornando alla giornata a Coscia di Donna sono arrivato fino alla punta grande, ma ormai il mare rinforzava sempre di più e quindi sono rientrato raccogliendo un polpo poco prima di tornare nella piccola baia di ingresso.
«Il secondo giorno a Coscia di Donna sono arrivato con un sentiero a sinistra, verso l’Isolotto dei Porri. E ho raggiunto una spiaggetta di ciottolato in mezzo a due lingue di roccia. Li davanti c’erano 2 scoglietti, altri 3 sulla sinistra e poi l’isolotto in fondo che si stagliava sul mare. L’arenile era pieno tutto di spugne di mare; era una vita che non ne vedevo così tante e così grosse e asciutte. «Sono entrato senza schienalino, con la giacca da 6,5, con l’idea di pescare più fondo, tra i 15 e i 20 metri. Mi sono quindi portato sui 15 per qualche aspetto e qualche planata. Davanti a uno degli scoglietti dove finiva la roccia e iniziava la posidonia, mi sono bloccato per un aspetto ed è comparso un branco di 15 ricciole sui 2 chili circa. Hanno fatto un giro intorno e infine mi hanno puntato, consentendomi di sparare facilmente a una delle prime della fila.
«La baia era pieno di meduse morte sul fondo e i saraghi le mangiavano avidamente. Nelle vicinanze, sui 10 metri, una bella tenuta stava mangiando con la testa nelle meduse e, distratta com’era, mi ha consentito di avvicinarla in caduta e catturarla facilmente.
«A parte questo ho visto tante corvine piccole e tantissime salpe in grandi branchi di taglie uniformi. Poi, parecchie murene, ma polpi zero. All’assenza dei polpi ci ho fatto caso perché c’è un mio collega che mi dice spesso che Coscia di Donna è il suo posto preferito per prenderli. Strano».
Il cimitero dell’Argentiera
«La frazione dell’Argentiera ha una spiaggia più grande vicino all’abitato e un’altra baia più piccola in corrispondenza del cimitero. Ma per chi non conoscesse il posto, vale la pena di spendere due parole sulla storia di questo luogo straordinario nel quale, fino agli anni Settanta, la città abbandonata della miniera costituiva una visione suggestiva e inquietante al tempo stesso.
«La storia dell’Argentiera affonda le sue radici addirittura nella prima metà dell’Ottocento. Poi, la miniera divenne attiva e attorno vennero edificate tante costruzioni; toccò il suo culmine poco prima della seconda guerra mondiale, e lo mantenne, con varie vicissitudini, fino al 1963, anno della definitiva chiusura. Quello che resta della vecchia miniera di piombo argentifero e zinco fa parte del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna, riconosciuto dall'Unesco.
«Nella baia vicino al cimitero, d’estate con il carrello si può alare il gommone con l’aiuto del classico trattore. Ma trattandosi di pesca invernale mi sono immerso da terra e di nuovo con lo schienalino, nuotando a sinistra, in direzione del cimitero. Da quella parte il fondale è caratterizzato da una roccia che parte da terra e continua abbastanza liscia fino a morire sulla sabbia. E’ una roccia abbastanza compatta, con qualche raro spacco e pochi ciuffi di posidonia. Il fondale prosegue così fino alla punta dell’Argentiera, dove iniziano sbalzi pietrosi più marcati e lastroni e le batimetriche aumentano.
«Gli unici pesci belli che ho visto erano concentrati dove questa roccia arrivava alla sabbia; in quel punto c’era un canalone di sabbia bianca che separava l’altra roccia, che poi riprendeva verso la profondità. In questo canalone c’erano occhiate grosse, saraghi e corvine. E ogni tanto passavano muggini di peso. Speravo di trovarne uno con la bottarga, però niente. Ne ho comunque preso uno di oltre un chilo e una mormora bellissima, che nuotava dalla sabbia alla roccia. Era un pesce di quasi un chilo, una vera rarità; all’inizio mi ha disorientato anche perché mi puntava dritta come se fosse un dentice. Non capivo cosa fosse, finché non si è girata e ho sparato. Poi ho preso un bel marvizzo ciliegia che si era mimetizzato male vicino al bordo della radice di posidonia. Qui forse ho trovato il fondale meno bello che nei giorni precedenti, ma qualcosa ho preso.
«Ironia della sorte, ho visto che la settimana successiva alla mia vacanza è arrivato il freddo e Giacomo Cubeddu (collaboratore tra l’altro di Pescasub) ha fatto una bella pescata di spigole e ha scritto sul post “Stintino”. Quindi c’erano, ma dovevano ancora entrare. Del resto, la spigola se non c’è la condizione giusta non nuotano nel bassofondo.
«Per fortuna mi sono consolato prendendone una bella in Liguria appena tornato a casa».