Questa poco conosciuta località marchigiana, incassata in una fenditura del Monte San Bartolo, rappresenta, con i suoi particolarissimi fondali di roccia, un’anomalia per quanto riguarda le distese di sabbia e fango di questo mare. Come sfondo alla trasferta, una congiuntura meteorologica tanto insolita quanto piacevole
di Alberto Martignani
Il porticciolo di Vallugola si trova lungo la porzione settentrionale del Monte San Bartolo, rilievo montuoso che collega Gabicce a Pesaro e rappresenta, oltre al Conero, l’unico tratto di “costa alta” da Trieste al Gargano, con una lunghezza di circa 10 chilometri e un’altezza massima di poco inferiore ai 200 metri. Si colloca in un’insenatura tra due speroni rocciosi che si allungano in mare dividendo il territorio di Gabicce da quello di Casteldimezzo e che sono la ragione della storia millenaria di questo insediamento. In epoca classica, infatti, i promontori sporgevano in mare molto di più rispetto alla configurazione odierna, formando una specie di fiordo che rappresentava la sede ideale per collocarvi uno scalo commerciale, essendo, oltre che ben protetta dal mare, anche molto ricca d’acqua dolce.
Ed è esattamente quello che fecero i primi colonizzatori greci, passando successivamente la mano ai Romani che potenziarono lo scalo, tanto da deviare verso la costa il decorso della via consolare Flaminia proprio per farla passare nelle vicinanze.
E’ appunto ai Romani che va fatta risalire la denominazione della località, anche se l’etimologia è incerta (vallis lucula, ossia valle ombrosa, oppure vallis uvula, cioè valle dei piccoli vigneti, il cui prodotto veniva esportato proprio a partire da questo porto…).
A sottolineare l’importanza storica della località, a pochi chilometri da Vallugola, nella frazione di Colombarone, possiamo visitare le vestigia, individuate e portate alla luce solo pochi decenni fa, della basilica di San Cristoforo ad Aquilam e di una sottostante villa tardo-romana. E’ qui che gli antichi manoscritti collocano la stipula della storica alleanza, nel 743 d.c., tra il Papa Zaccaria e l’esarcato di Ravenna, in funzione anti-longobarda.
Il Porto di Vallugola rimase vivo e vitale sino al 1614, allorchè i Della Rovere, Signori di Pesaro, deviarono il fiume Foglia rendendo possibile la costruzione di un porto fluviale che soppiantò rapidamente quello della più settentrionale località. Oggi Vallugola ospita un piccolo ma attrezzato porto turistico, un hotel (il Capo Est), curiosamente incassato nelle pendici della montagna, alcuni ristorantini e un paio di residence di lusso.
Un clima che sta cambiando
Il mese di ottobre dell’anno scorso è stato caratterizzato da una situazione climatica eccezionale, mai verificatasi in precedenza, con temperature altissime (sino a 10 gradi superiori alle medie stagionali) e piogge praticamente assenti; una fotocopia di giugno, insomma. In particolare, per quanto riguarda il bacino alto-adriatico, la temperatura atmosferica ha raggiunto con regolarità picchi giornalieri di 26-27 gradi, con minime quasi mai inferiori a 12-13. Ciò ha contribuito a mantenere elevate le temperature del mare, che a fine mese oscillavano tra i 19 e i 21 gradi, mentre l’anno precedente, nel medesimo periodo, ricordo bene come mi trovassi a immergermi nella nebbia, con una temperatura dell’acqua non superiore a 14-15. Da notare che l’acqua a 21 gradi c’era a inizio giugno, quando già si facevano i bagni in mare, e infatti più di uno ne ha approfittato per vivere uno scampolo aggiuntivo di stagione balneare, prendendo il sole in spiaggia e immergendosi sin oltre Ognissanti.
Tutto ciò, ovviamente, non è un bene, ed è probabile che prima o poi pagheremo un prezzo per questo andamento meteorologico così alterato. E’ già ad esempio accaduto che, all’allentarsi della forza dell’anticiclone africano sulla nostra penisola, si siano verificati fenomeni meteorologici estrem,i come grandinate violente e bombe d’acqua. Il Pò, per effetto della siccità ricorrente, sta acquisendo caratteristiche torrentizie difficili da immaginare solo pochi anni fa. Di conseguenza si sono ridotte il grado di torbidità e la salinità dell’Alto Adriatico, e ciò avrà sicure conseguenze sulla biologia marina, anche se al momento difficilmente prevedibili.
La trasferta
Per pescare in queste acque, che frequento sin dagli anni ’70, allorchè ragazzino mi immergevo tutta l’estate con maschera Gsd e pinne Pirelli (e non sto a raccontarvi cosa ci fosse sotto la superficie in quegli anni…), ho sfruttato il lungo ponte di Ognissanti e il clima straordinario dell’estate di San Martino più calda e prolungata che la storia ricordi.
Quest’anno la visibilità era tale che, osservando il mare dall’alto della strada panoramica che collega Gabicce a Pesaro, era possibile studiare, in trasparenza, lo sviluppo della roccia naturale che caratterizza vaste porzioni di fondale alla base del Monte San Bartolo. Ovviamente, si tratta di un’osservazione puramente accademica, dal momento che conosco benissimo quasi ogni centimetro quadrato di questa zona.
Mi limiterò a una pescata al dì, da terra, rigorosamente all’albissima, in quanto immergersi la mattina molto presto è essenziale per fare carniere, soprattutto in una situazione in cui il mare quasi piatto non risulta particolarmente favorevole alla circolazione del pesce nelle ore centrali.
Per pescare attorno a Vallugola, ove si concentrano i fondali più interessanti, posso avvalermi di due opzioni. La più semplice, per me, è da Gabicce, dove ho casa. Indossata la muta in bagno, al calduccio, devo percorrere a piedi non più di 100 metri per raggiungere la sottostante spiaggia di Sottomonte. Da qui, ancora circa 400 metri per arrivare alla base del monte, dove la spiaggia finisce e posso finalmente tuffarmi. Questo accesso consente di pescare al largo del promontorio che delimita a nord l’insenatura di Vallugola.
Le concrezioni di roccia sul fondo si incontrano sino a 200, 300 metri da riva, dove lasciano posto a un amorfo fondale sabbioso. Il primo incontro è con un’anguilla che sorprendo fuori tana su una distesa di lattuga di mare. La risparmio in quanto non di grosse dimensioni e vengo premiato dall’incontro, poco dopo, con un esemplare ben più corpulento, quasi completamente intanato; aveva fuori solo la tresta e allo scoperto con la sola testa.
Scocco il tiro con il Ministen armato con la fiocina a 5 denti, usando l’accortezza di selezionare preventivamente il riduttore di potenza. Segue una breve ma cruenta lotta per estrarre l’animale dal buco e ridurlo alla ragione.
La vittima successiva è un discreto esemplare di scorfano nero, la cui cattura è molto più semplice e richiede la sola accortezza di usare attenzione nello sfilarlo dalla fiocina senza farsi ferire dai pungiglioni velenosi. Proseguendo la pescata “raccolgo” due begli esemplari di seppia i quali, dopo la latitanza estiva, tornano evidentemente a farsi vedere in giro in rapporto alla loro stagione autunnale degli amori.
Raggiungo una zona caratterizzata da grosse concrezioni sul fondo, dalle geometrie regolari e arrotondate che le fanno assomigliare a reperti archeologici. Sono coperte da cozze, attinie e incrostazioni varie e vi gravitano attorno mormore, oratelle e cefali, dietro è sempre possibile veder comparire qualche predatore.
Tralascio i cefali e mi concentro sulle spigole, di cui sto cominciando a vedere i primi, piccoli esemplari. Ne catturo quasi subito una, credo di poco sotto al chilo, poi, dopo una mezz’ora inconcludente, arriva la seconda, che il chilo dovrebbe superarlo tranquillamente. Può bastare: risalgo, con l’allettante prospettiva di una doccia calda e di una successiva sostanziosa colazione, consumata in uno dei bar del lungomare che, in occasione del ponte, hanno riaperto in massa.
Il giorno successivo confermo lo schema. Anche se l’acqua è 19, 20 gradi, l’aria del mattino è pungente per cui risulta opportuno indossare la giacca da 7 sui pantaloni da 5. I primi tuffi sono quelli più favorevoli a individuare le anguille che sfruttano la luce bassa e obliqua dell’aurora per cacciare, per poi tornare a intanarsi appena il sole si alza di più.
Ne individuo due di buona taglia e le catturo. Questa zona era un tempo ricchissima di anguille, che trovavano nei fondali argillosi e nella roccia tufacea nascondigli ideali. Se ne pescavano a centinaia, con la canna, durante le mareggiate e io stesso, da ragazzo, ne prendevo diverse. Oggi la specie è notevolmente rarefatta, ma qualcuna, a inizio estate e in autunno, si trova ancora. E’ invece vietato catturarle dal 1 gennaio al 31 marzo (divieto vigente dal 2020).
Sono ora in una zona di tane, scavate alla base di grosse rocce tufacee. Una specchiata all’ingresso di una di esse mi induce a un rapido tiro. Estraggo un’orata di taglia discreta! Anche qui c’è da fare un ragionamento: le orate, ormai da diversi anni, invadono in massa i fondali adriatici dalla primavera alla tarda estate. Si tratta di animali giovani, nati l’anno precedente, che sfruttano la ricchezza di cibo di questo bacino come nursery, per poi abbandonare, ben pasciute, i nostri lidi ai primi rigori autunnali, per non più ritornare.
Quest’anno, considerate le persistenti alte temperature del mare, si sono attardate e le settimane supplementari passate a ingozzarsi sui nostri fondali hanno fatto sì che risulti più facile incappare in esemplari più grandi del solito.
Concludo con una corvina dignitosissima, appena più piccola dell’orata. Anche questo è un pesce comune lungo i fondali marchigiani, anche se catturarne di belle sottocosta non è facile.
Per il terzo giorno decido di cambiare itinerario. Batterò la zona a Sud di Vallugola, per raggiungere la quale, però, non posso partire a piedi da casa. Devo prendere l’auto e coprire i pochi chilometri sino a Vallugola. Parcheggiato vicino al mare alla destra della zona portuale, scendo in acqua. Devo poi pinneggiare un po’ verso sud e verso il largo, in quanto la zona che si incontra all’inizio è caratterizzata da acqua molto bassa e da un fondale alquanto amorfo.
Raggiunta il tratto buono, inizio come al solito con una serie di lenta planata verso il fondo, aggirando le grosse concrezioni rocciose e appiattendomi infine all’aspetto. Nel fare ciò, non manco mai di scrutare attentamente il terreno e le spaccature alla base degli scogli, alla ricerca di specie bentoniche o pesci intanati.
Cominciano ben presto gli avvistamenti. Dapprima un branco di mormore che mi sciamano di fianco; riesco a centrare un esemplare discreto (anche se nulla in confronto con i pesci da chilo che vedevo grufolare, in branco, da ragazzo!).
Poi la solita anguilla (una cattura “sindacale” da queste parti) e uno scorfano nero (la varietà rossa è presente, ma solo al largo). Infine, la cattura più bella e di soddisfazione: una spigola di oltre un chilo che, più che venire all’aspetto, mi si avventa proprio contro, velocissima e che penso di riuscire a centrare quasi per caso e solo grazie all’istintività di tiro che la fiocina consente. Riesco così a raggranellare, per la terza mattina di seguito, un carniere davvero bello, per taglia e varietà dei pesci.
La vacanza prevede una quarta e ultima uscita, alla quale non rinuncio, considerato che dovrò rientrare in città nel pomeriggio, ma che affronto con lo spirito contemplativo di chi ha già ampiamente raggiunto i propri obiettivi.
Avvisterò qualche anguilla non grande, una corvina e numerosi cefali, senza mai premere il grilletto. Solo una preda veramente prestigiosa (che non si materializzerà) sarebbe stata in grado di risvegliarmi da questo torpore venatorio
Ma va benissimo così…
BOX L’Atlantide dell’Adriatico
Sott'acqua, tra Romagna e Marche, si troverebbero i resti di
un’antica città perduta: lo sosterrebbero antiche cronache e strani sassi sul fondo. Da secoli infatti, nello specchio di mare antistante il promontorio di Gabicce, vengono rinvenute pietre che assomigliano in tutto e per tutto ad antichi manufatti: il braccio di una statua, un capitello, una colonna, la grossa pietra squadrata di una cinta muraria. Qualcuno l'ha già chiamata L'Atlantide adriatica. In effetti, proprio lungo questo tratto di costa, alcune fonti settecentesche collocano una città, Valbruna, di cui oggi non esiste più traccia essendo sprofondata in mare in epoca antichissima.
Ma già in precedenza, nel 1550, il viaggiatore veneziano Bernardino Fontana, che molto probabilmente non conosceva altri resoconti sulla Vallugola, aveva lasciata scritta una frase sibillina: "La Cattolica è a un passo, e fu già gran loco... ma inghiottita dalla terra e sommersa d'acqua che occultamente gli era di sotto, ora è niente".
Parla quindi di "un centro importante", presso Cattolica, sommerso da acque che potrebbero essere fluviali o di falda. Non è infatti da escludere che in un luogo attraversato da ben 5 corsi d'acqua, com'è la piana di Cattolica, in epoca altomedievale o romana siano avvenute alluvioni e sconvolgimenti tali da seppellire un insediamento abbastanza importante.
Negli anni ‘70 del secolo scorso, peraltro, il geologo subacqueo Paolo Colantoni così scriveva, a proposito del San Bartolo: “In quest'area il mare erode continuamente la costa. In epoca romana la linea di riva si trovava 500 metri al largo e il livello medio dell'Adriatico era di 2 metri più basso. Si tratta di una falesia continuamente fatta crollare dall'erosione delle acque marine.
I frequenti crolli del promontorio, letteralmente mangiato dal mare nel corso dei secoli, da una parte alimentano la leggenda di un’antica città franata nell'Adriatico, dall'altra inducono i geologi a spiegare gli strani ritrovamenti con argomenti scientifici. Io stesso - scrive sempre Colantoni - mi sono immerso più volte in queste acque: quello che si vede sono solo testate di strato, cioè resti di rocce più resistenti all'erosione e praticamente verticali che possono sembrare i muri che fiancheggiano strade, tutte diritte e parallele. Quanto ai cogoli, vale a dire i blocchi di arenaria dalle forme stravaganti, spesso scambiati per capitelli o colonne, si tratta di formazioni naturali, che si aggregano per scambi chimici durante la cementazione delle rocce, come fossero noduli all'interno di strati sabbiosi. Quando il promontorio frana, questi blocchi, più compatti e pesanti, rimangono ai suoi piedi, mentre le ghiaie fini e le sabbie vengono portate dalle correnti verso nord, e fanno crescere il litorale di Cattolica”.
Esisterebbe quindi una spiegazione chimica e geologica per le strane formazioni rocciose dei fondali di Vallugola, e tuttavia
l’ipotesi dell’antica città perduta è a mio parere troppo affascinante per abbandonarla completamente…