Anno dopo anno la nostra rivista rappresenta la porta di ingresso nel mondo della pesca in apnea per migliaia di nuovi appassionati. Noi, vecchi giornalisti della testata, nemmeno ce ne rendiamo conto, ma ogni tre anni cambia una generazione, i vecchi neofiti si trasformano in esperti e una nuova schiera di giovani si impegna per conoscere le cose già apprese dai loro predecessori. Tutto questo solo per dire che tra i lettori del 2024 potrebbe esserci perfino qualcuno che non sa chi sia Riccardo Molteni, uno dei personaggi più leggendari del nostro sport
Gherardo Zei
Campione d’Italia nel 1988, Campione del mondo a squadre nel 1981 in Brasile (primo degli italiani davanti a Toschi e Martinuzzi e terzo dopo Amengual ed Esclapez in classifica assoluta) e di nuovo nel 1989 a San Teodoro, Riccardo Molteni è stato un protagonista di prima grandezza nel panorama dell’agonismo italiano e internazionale ma, a differenza di altri fortissimi agonisti che - finita l’epoca dei successi - sono stati dimenticati, lui ha continuato negli anni a mantenere intatta la sua notorietà e probabilmente oggi è ancora più conosciuto e celebrato che negli anni d’oro delle sue vittorie.
Per capire questa fama perdurante nel tempo, bisogna cercare la spiegazione nel “carisma” naturale di Riccardo, nella sua forza inossidabile unita al suo modo di esprimersi colto ed elegante, in controtendenza con l’immagine ruspante di molti altri agonisti. I giovani vedono spontaneamente in Molteni un Maestro, una figura di pescatore tecnicamente evoluta, credibile e con un tratto nobile, che infonde un senso di sicurezza. Tanti lo ritengono un punto di riferimento e anche i meno giovani lo considerano una delle “bandiere” del nostro sport, e le imprese nella Champions League assieme a Mazzarri sono andate ad arricchire il mito degli eterni campioni.
Personalmente conosco Riccardo da almeno venticinque anni, ma non potrei dire di averlo veramente “visto da vicino”, in quanto non siamo mai stati amici stretti e siamo andati a pescare insieme solo una volta, nel corso del leggendario raduno dell’Over 40.
Le cose sono andate così non solo perché io vivo nel Lazio e lui in Sicilia, ma anche perché abbiamo due approcci al mare molto distanti: lui è una leggenda ante litteram della pesca profonda sulle secche esterne - mitico specialista della cernia e del dentice profondi -, mentre io sono un grande appassionato della peschetta da terra sul grotto laziale. Tuttavia, con Riccardo negli anni ci siamo sentiti periodicamente ma costantemente e non abbiamo mai perso il contatto. E questo è stato un privilegio per il quale devo ringraziare la trentennale attività giornalistica che ho svolto per la nostra storica testata.
La cosa veramente buffa è che fuori dal mondo della pesca subacquea io e Riccardo facciamo lo stesso lavoro. Lui è un imprenditore e dirigente industriale nel campo dell’ingegneria e io faccio lo stesso lavoro nel mondo delle telecomunicazioni e ho anche un incarico di vertice nel sindacato dei dirigenti, quindi siamo colleghi a tutti gli effetti e io sono pure il suo sindacalista.
Tuttavia, poiché Riccardo è una leggenda del mio sport, il nostro rapporto è iniziato con una certa soggezione da parte del sottoscritto, come il rapporto tra un grande campione e un suo tifoso. Poi, dopo un certo numero di anni che ero diventato un giornalista di settore, la nostra amicizia è proseguita come quella tra il campione e un suo giornalista di riferimento. Insomma, siamo diventati un po’ come Scannagatta e Djokovic che scherzano con la famosa battuta del “no bad”.
La mente umana è strana davvero. Un paio d’anni fa ho chiamato Riccardo nell’altra veste per un consiglio su una questione di fondi europei e, mentre ne parlavamo, sembravamo due persone diverse rispetto a quando - come ora - ci confrontiamo sul tema della pesca in apnea e torniamo a essere Riccardo Molteni, la leggenda del mare e Gherardo Zei, il giornalista di settore. Misteri della psicologia dell’essere umano!
Ma torniamo alla nostra amicizia legata alla comune passione per il mare. Prima del 2000 non conoscevo Riccardo personalmente. Non credo di sbagliare se dico che ci siamo visti la prima volta la sera della cena del leggendario “raduno over 40”. E la mattina dopo eravamo in mare all’Argentario in una giornata polare di nevischio, ammassati su un gommone dove, oltre a Molteni e al sottoscritto, erano stipati Ramacciotti, Antonini e Casini. Della mattanza di spigole materializzatesi improvvisamente lungo il Promontorio in quanto fuggite da un allevamento ho raccontato più volte. E il finale fu una foto con generosi cavetti scattata proprio da Riccardo, il quale indossava sopra la cintura una specie di “gonna polinesiana di branzini” mentre - lottando contro l’ondeggiamento di un forte risacca - si teneva in equilibrio come un gondoliere uscito inopinatamente fuori dalla laguna.
Questo prima che arrivasse un’onda anomala provocata da un altro gommone. Riccardo perse l’equilibrio sul pagliolo e sul tubolare - che erano stati resi viscidi da una quantità inverosimile di pesci - e sforbiciò all’indietro volando in acqua e dando l’impressione di sbattere sul motore. Ci precipitammo a poppa gridando preoccupati. Sentivamo anche Riccardo che gridava ed eravamo per questo ancora più in apprensione. Invece, lo vedemmo in acqua incolume che stringeva ancora in pugno la macchina fotografica e gridava “datemi una maschera! Le spigole, le spigole! Datemi una maschera!”
Aveva perduto nell’impatto il gonnellino di spigole e l’unica cosa che voleva era una maschera per riprenderle. Tra il sollievo e le risate, detto fatto, le spigole furono recuperate e ci avviammo per il rientro trionfale. A terra tutti avevano catturato almeno qualche branzino e, ritrovandoci insieme, con le mute bagnate sotto il nevischio, vivemmo un momento di grande empatia collettiva sulle banchine di Porto Santo Stefano. Davanti a pochi passanti infreddoliti, eravamo decine di pescatori con le nostre spigole e ciascuno con la sua storia da raccontare. Campioni e pescatori comuni, finalmente uniti. Eravamo i “fratelli della costa”.
Certamente, faccio fatica a mettere in ordine cronologico le volte in cui la mia penna ha incrociato le tante avventure del grande campione siciliano. Ma forse non è tanto importante perché si tratta della storia di una grande passione che, in quanto tale, non deve essere ordinata come un “Bignami”, piuttosto richiede un’attitudine evocativa di momenti da ricordare.
Per esempio, rammento una volta a un Eudi Show (non mi chiedete quale) in cui erano presenti sia Mazzarri che Molteni e, a un certo punto, davanti al nostro stand di Pescasub, c’era anche Pelizzari, che mi pare in quel periodo fosse impegnato in trasmissioni televisive. Ricordo che il Pelo era circondato da decine di persone, mentre Riccardo e Renzo se ne stavano in disparte e io, dentro di me, pensai a quanto è ignorante la gente che, senza nulla togliere alla meritata gloria di Umberto, in quel momento quasi ignorava la presenza di due leggende a pochi metri di distanza. Ma del resto, questa è la legge della televisione.
A un certo punto con Luca Laudati ci siamo inventati una rubrica che si chiamava “il protagonista”, nella quale, per la prima volta, chiedevamo ai grandi personaggi del nostro sport tante cose anche fuori dall’argomento pesca, in modo da tratteggiarne la personalità a 360 gradi. Parlando di se stesso fuori dai denti, Riccardo si descrisse come un uomo innamorato della pesca subacquea, estroverso ma razionale e freddo nei momenti difficili, però con il rischio di diventare - talvolta - testardo, pagando la sua ostinazione con qualche errore di valutazione in momenti irripetibili di alcune gare. Molteni è un uomo che crede nell’amicizia di chi sa esserci quando serve, tanto che non dimenticherà mai che - uscendo dalla camera iperbarica in barella un paio di giorni dopo l’incidente del 2008 - si trovò di fronte Renzo (Mazzarri) e Natalino in lacrime (… loro!!).
ùUn uomo positivo che pensa sempre che il giorno più bello è quello che verrà, come quando nell’ascensore dell’ufficio fece l’incontro con una giovane laureata neo-assunta dallo sguardo luminoso e intelligente che sarebbe diventata sua moglie Daniela.
Per quanto riguarda la pesca, Riccardo mi disse di amare il Banco Scherchi (qualunque risalita), di preferire il tramonto e di essersi convertito definitivamente agli arbalete, perlomeno per le armi lunghe, di amare le giornate in gommone a pesca profonda con un fidato barcaiolo e di cercare sempre la grande cattura, possibilmente un dotto o un dentice o, magari, una grande orata in acqua libera, con tutte le difficoltà che comporta questo pesce. Le giornate più belle da ricordare? La prima frazione del Mondiale del 1989 e la terza vittoria in Champions League ad Astipalea, nel 2006.
Se a Molteni chiedi chi sia il più forte pescatore di tutti i tempi, ti risponde: “forse non sarà il più bello da vedere, ma Renzo Mazzarri è una vera macchina da guerra”. E poi negli anni lui e Renzo sono diventati davvero amici. Una certa simpatia “a pelle” c’era sempre stata, al netto della rivalità nell’agonismo. Ma la simpatia si è trasformata in amicizia in due tappe, anzi in due date del mese di luglio. La prima nel 2002, quando a Paliuri in Grecia, lui e Mazzarri parteciparono insieme alla prima Spearfishing Champions League e fu la prima gara che li vide alleati anziché avversari (anche se dopo ne seguirono tante altre). La seconda a luglio 2008, quando Molteni trovò Mazzarri all’uscita della camera iperbarica dell’ospedale civico di Palermo, con l’inossidabile Natalino al seguito naturalmente. Da allora i due sono amici.
E infatti da una certa data in poi le più note avventure di pesca di Riccardo sono avvenute proprio con il suo ex acerrimo rivale in gara e io, come giornalista, ho avuto la fortuna di sentire Molteni molte volte per scrivere dei pezzi suggestivi su queste avventure. Ricordo per esempio quella, molto originale, basata sul loro viaggio a Dubai, luogo non certo noto per la pesca in apnea ma che si rivelò interessante per la presenza di numerosi relitti. In realtà, Renzo e Riccardo dovevano andare in Libia, poi però le difficoltà burocratiche li avevano convinti a cambiare destinazione e si erano diretti verso il mondo fiabesco delle torri di Dubai, pronti per una nuova avventura. Dubai è un luogo dove il deserto lascia il posto a isole artificiali a forma di palmizio e a grattacieli di dimensioni inconcepibili, come la Burj Dubai che, dall’alto dei suoi 818 metri, torreggia sopra un lago artificiale. Dubai è un luogo dove tra il 23 e il 30 novembre la temperatura è di trenta gradi, il tempo è bello, la corrente è scarsa e una muta da tre millimetri è più che sufficiente. Forse Dubai non diventerà mai famoso come luogo per la pesca subacquea, ma certo l’avventura dei nostri campioni fece notizia.
Negli anni più recenti ricordo come fosse ora quando con Riccardo ci siamo sentiti nel giugno 2018 per la partecipazione, con l’ormai inseparabile Mazzarri, oltre a Riolo e Antonio Aruta, allo Spearfishing World Cup per Club a Biserta, in Tunisia. Ebbi il privilegio di scrivere l’articolo di quella competizione che non diede alle squadre italiane le soddisfazioni che avrebbero meritato. Ma quello che ricordo veramente non sono i risultati e i pesci presi dai vincitori. Quello che ricordo veramente è il racconto che Molteni mi fece di uno spot trovato in preparazione ma dove, poi, in gara non riuscirono ad andare. Uno spot molto particolare e talmente difficile da trovare che, forse, potrebbe essere ancora intatto. “Un giorno in preparazione, alla fine della giornata - mi raccontò Riccardo - ci siamo messi a scandagliare sui 42, 43 metri, ma era tutto piatto, finché lo scandaglio ha segnato un punto: una specie di spillo. Cos’è? Forse mangianza? No. Non vediamo più nulla. Sarà stato un difetto dello strumento? Ma, d’improvviso, ecco di nuovo il segnale. Era tardi. Che facciamo? Decidiamo che io tenti un solo tuffo, rapido, senza piombo mobile. Cerchiamo di calcolare una traiettoria d’immersione che mi porti sul punto marcato. Arrivato sul fondo cerco di capire, ma non vedo niente. Il fondo era sabbioso con delle macchie di suolo compatto e un po’ di posidonia. Mi appoggio e comincio a guardare al limite della visibilità per capire se c’è qualcosa, sperando di vedere l’ombra del profilo visto sullo scandaglio, però nulla. Ma, mentre sono fermo, vengo letteralmente investito da un battaglione di dentici. Saranno stati 150 pesci che mi arrivavano addosso e pensai subito che c’erano tutti quei pesci e non ero nemmeno sul punto preciso. Il giorno dopo, che era l’ultimo di preparazione, siamo andati con la massima riservatezza a cercare questo posto. Abbiamo ritrovato il punto e il mare era più calmo rispetto al giorno prima. Mi sono tuffato scendendo in diagonale e, finalmente, l’ho visto, ma non era uno scoglio, era la prua di un piccolo mercantile piantata sulla sabbia come la lama di un coltello, con la punta rivolta verso l’alto. E intorno una serie di lamiere, di scalette e di oggetti contorti, appoggiati e integrati nella roccia, tutti oggetti che, passandoci sopra con lo scandaglio, non si riuscivano a rilevare, mentre questo spillo di metallo alto cinque metri, molto acuminato e molto sottile, era percepito come un semplice punto (era difficile da trovare). Allora, continuando il tuffo mi sono spostato verso questa prua del relitto e, sul fianco della lama, mi sono trovato un denticione, un pesce da dodici chili che sembrava fermo in parallelo sul fianco di questa prua, ma in realtà era in lentissimo movimento per la corrente. Ho guardato meglio e ho notato che le lamiere intorno erano un infernale formicaio di questi dentici che si infilavano e uscivano da tutte le parti, uno spettacolo dantesco. Accanto a questa lama di roccia due grandi dotti di 12 o 13 chili, pesci fuori misura, sostavano tranquilli. Un posto leggendario”.
Come ci ha raccontato Riccardo, in gara poi non riuscirono ad andarci per tutta una serie di circostanze e forse il posto è ancora li intatto. Chi può dirlo?
Ma per come lo conosco, nella sua visione positiva del futuro, credo che in fondo Riccardo Molteni conservi ben chiaro il punto Gps e pensi che, prima o poi, un giorno ci tornerà.